lunedì 24 agosto 2015

GASSA D'AMANTE 1




"Voglio un carico di vino di rubino,
e un libro di versi.
M’occorre appena lo stretto necessario,
e un pezzo di pane.
Poi io e te seduti in un luogo deserto
Questa è una vita superiore al potere d’ogni sultano".

(Gialal al-Din Rumi).

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"Cedo alla tentazione di toccare i petali
e le mie dita scoprono
il contatto della seta,
il contatto delle tue labbra
quando baci le mie spalle".
(Amalia Bautista, Falso pepe).


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Se mi chiedessero di nominare ciò che mi piace mangiare di più in assoluto, quello che salverei se dovessi scegliere un alimento fra tutti, l’unico da salvare rinunciando a tutti gli altri, certo mi troverei in grave difficoltà perché: "Ogni scelta ha un rovescio cioè una rinuncia, e così non c’è differenza tra l’atto di scegliere e l’atto di rinunciare". ( Italo Calvino - Il castello dei destini incrociati).
Con l’aggravante che con questa scelta unica dovrei rinunciare a tutto il resto, se non ci fossi costretto, sarebbe una scelta masochistica, per quanto stupido possa essere l’uomo, non ci sono esempi di un comportamento così svantaggioso, in cui per avere una cosa si perde tutto il resto … o forse si, il matrimonio.
Vediamo, cosa mi viene in mente per primo? Un bel piatto di spaghetti col pomodoro e basilico, o le trenette al pesto, o le tagliatelle col ragù, o i bigoli in salsa, un’amatriciana o una buona norma o pasta con le sarde? E perché no, invece, una parmigiana di melanzane o la migliore caponata? E perché dovrei rinunciare a quel gusto irrinunciabile e inesprimibile di una buona fiorentina, croccante e ben cotta all’esterno, quasi bruciata, e tenera come il burro e rossa all’interno? O al profumo e al sapore del pesce appena grigliato condito semplicemente con olio d’oliva, aglio, sale e menta tritata? Al tonno grigliato servito con delle strisce di peperoni arrostiti alla griglia pelati e conditi con olio, sale e limone?
O a tutti quegli antipastini ideati in molte parti del mondo costituiti da verdure, affettati, formaggi, pesce, frutta, variamente amalgamati, crudi o cotti, freddi o caldi, che sono il trionfo di una buona produzione alimentare, dei sapori e della fantasia?
E il pane, come si fa a rinunciare al pane che da solo fa un pasto, che è il simbolo stesso della tavola imbandita, che basta davvero pochissimo per apprezzarlo: ad esempio condirlo, fumante appena uscito dal forno, con olio d’oliva, sale e origano; e il vino, che magari non fa “sangue”, come si credeva una volta, ma di sicuro mette allegria, scioglie le lingue che faticano a parlare e trova la strada per esprimersi alle idee più recondite e ai sentimenti più intimi e rende ardita anche la mano più timida.
Dei dolci non ho niente da dire, non mi piacciono molto e se dovessi rinunciarci del tutto non mi mancherebbero molto, così come non mi mancherebbero le frattaglie di animale, i tagli particolari, le anguille, le murene, le lumache di ogni genere, per cui alcuni vanno matti ma che per me proprio non esistono come alimenti.
Tolte, dunque, le cose che non mi piacciono, devo ammettere che anche fra quelle che mi piacciono e molto, giungerei ben presto alla saturazione e persino alla nausea se dovessi nutrirmi sempre e solo di quelle; una cosa però c’è che mi piace sempre allo stesso modo, oggi come ieri e come domani. la pizza.
Purtroppo vivo in una zona barbara del mondo, in una regione in cui il capoluogo, Venezia, è governato da un tizio che ha impegnato l’intera  la giunta comunale, con tutti i problemi serissimi che questa città ha, non ultimo la sua stessa esistenza, perché potrebbe sprofondare nelle acque come Atlantide, mentre i suoi amministratori organizzano il Mose solo per spartirsi le tangenti invece di risolvere davvero il problema, e ancora discutono se fare passare o non fare passare le navi da crociera sul Canal Grande, che portano tanti schei, ma producono più danni alla Laguna delle dieci piaghe d’Egitto, a passare a setaccio i libri per bambini alla ricerca di eventuali tracce di “apologia gender” per poterli mettere al bando in una riedizione assurda dell’Index Librorum Proibitorum creato dal sant’Uffizio sotto Paolo IV.
Con la differenza che allora, siamo nel periodo cosiddetto della “controriforma”, o della “riforma cattolica”, tempi in cui Giordano Bruno veniva arso vivo a Campo de’ Fiori in Roma, Tommaso Campanella viene torturato, dovette subire ben cinque processi e fu imprigionato per 27 anni della sua vita, Galileo Galilei viene incarcerato, costretto a dare chiarimenti sul suo pensiero scientifico, minacciato di tortura e costretto ad abiurare, alle figure michelangiolesche della Cappella Sistina papa Pio IV impone che vengano ricopertele nudità con dei mutandoni deturpando così un capolavoro artistico assoluto, Venezia era un’isola felice e relativamente libera e autonoma dal fanatismo cattolico e dal puritanesimo protestante, uno dei pochi fai illuminati nell’Occidente che sprofondava in tenebre di follia.

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E adesso la città più bella del mondo passa in poco tempo da un sindaco come Orsoni, impelagato nella violazione della normativa in materia di finanziamento ai partiti, in pratica avrebbe ricevuto dei soldi che sono serviti a pagare le campagne elettorali del suo gruppo, in cambio dell'interessamento politico ai maxi-appalti del MOSE, ciò vuol dire autorizzazioni facili e nessun controllo: Venezia nelle mani di un gruppo per cui il loro potere personale valeva di più del bene della città intera, erano disposti putre a passar sopra alla massiccia cementificazione della laguna e all’inutilità complessiva dell’opera (perché il livello delle maree è oggi ben al di sopra l’alzata massima delle paratie del MOSE, l’acqua passerà comunque, al sindaco attuale Luigi Brugnaro.
Un imprenditore, dicono, e cosa “imprendeva”? Cosa produce/produceva Brugnaro? Nel 1997 Luigi Brugnano fonda un’agenzia, la Umana (che diventerà in seguito una Holding), che in meno di dieci anni giunge ad un fatturato di circa 300 milioni di euro, in questa agenzia egli raggruppa 20 aziende operative nei servizi, nella manifattura, nell’edilizia e nell’agricoltura.
Cosa vuol dire? Che Brugnaro si occupa di fornitura a tempo di manodopera in tutti quei settori indicati (servizi, manifattura, edilizia e agricoltura), in “somministrazione”, cioè in dosi interinali (cioè quando gli servi ti chiamano, quando non gli servi non ti chiamano, se rompi le palle o accampi diritti sei tagliato fuori … faceva parte del “pacchetto Treu” … proprio un bel pacchetto, che ha consentito a gente come Brugnano, con metodi di caporalato legale, di guadagnare 300 milioni di euro).
Tralascio qui i suoi trascorsi in Confindustria e a sua ascesa politica, ma non posso tralasciare il fatto che Brugnaro possiede, avendo fatto un’offerta di 513.000 euro nel maggio 2014, che è stata accolta, un’isola della laguna di Venezia: Poveglia; l’idea di base era di farne dei resort meta esclusiva di persone piene di schei (perché quelli contano, nella testa di Brugnaro, dei suoi elettori e, ormai di quasi tutti i veneti dal Presidente di Regione fino al più scalcagnato mozzo di sentina o contadin della bassa polesana, ci sono solo schei, venderebbero Venezia, la laguna intera come brodo Star, le Dolomiti, la cappella degli Scrovegni e la Basilica del Santo in cambio di schei sonanti e tintinnanti).
Ma, dal momento che Brugnaro è sindaco e proprietario (pro tempore) di un’isola nella città che amministra, gli sembrava brutto speculare così apertamente, per cui ha di recente dichiarato di non voler realizzare un hotel per turismo, ma un centro internazionale di ricerca e cura dei disturbi alimentari con approccio multidisciplinare, che avrebbe creato 200 nuovi posti di lavoro… vedremo danarosi turisti travestiti da ricercatori dei disturbi alimentari, gente che gira per i resort col camice bianco da ricercatore griffato, intenti ad assaggiare i piatti più prelibati della cucina italiana allo scopo di prevenire i disturbi alimentari propri e quelli di Brugnaro.
Sul sindaco di Padova, Massimo Bitonci, stendo un velo pietoso, amo troppo questa città per infierire, dico solo che l’ultima volta che l’ho vista in municipio pendeva un cartello: “Riportiamo a casa i marò!”, e già mi vedo Bitonci come John Miller di “Salvate il soldato Ryan”, armato fino ai denti, seguito dai suoi consiglieri comunali, mettere a ferro e fuoco l’India intera e riportare a casa la pellaccia dei due marò.

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Oppure, si è distinto per aver dato del “Terùn” ad Antonio Foresta, consigliere comunale nato in provincia di Cosenza, scatenando la satira di alcuni padovani originai del sud e di padovani autoctoni che all’Arcella hanno organizzato un party di solidarietà tutti rigorosamente con la scritta: “Je suis terùn”…sembra che Bitonci a tutt’oggi non abbia ancora chiesto scusa … di esistere.
E che posso dirvi di Treviso, città in cui vivo, passata dal sindaco sceriffo Gentilini, che era più una macchietta da avanspettacolo, a Manildo, il primo sindaco di centro-sinistra in questa città, praticamente un connubio innaturale in una città in cui gli abitanti sono affetti da destrocardia e spesso il cuore coincide con la tasca destra dei pantaloni … dove si trova il portafogli.
Qualche mese fa ci fu la bagarre fra la giunta e Goldin, per cui la collaborazione fra il curatore di mostre d’arte e il Comune andò in frantumi e la mostra prevista a Ca’ dei carraresi non si fece più; poi, all’insegna del: “Non c’è solo Goldin”, si ventilarono altri nomi, fra cui quelli di Daverio e di Sgarbi (e già quest’ultimo nome da solo vi dice qual è la serietà di questa giunta), infine si è deciso di fare una mostra esponendo alcune opere di El Greco a Ca’ dei Carraresi e di affidarne la realizzazione e la cura a quelli che il consigliere regionale Diego Bottaccin definisce: “personaggi di dubbia reputazione per le vicende giudiziarie in cui sono stati coinvolti".
Il riferimento, nemmeno troppo velato, è ad Andrea Brunello, imprenditore della cultura trevigiano, che a Brescia aveva organizzato una mostra finita sotto inchiesta della Procura per truffa, in base a un presunto numero di "ingressi gonfiati".
In questi tempi di crisi economica in cui per prima la Grecia fa fatica a stare a galla e a onorare i suoi debiti, evocare “El Greco” dopo i fasti degli impressionisti da tutta la misura della crisi anche artistica, un El Greco poi non internazionale, ma, come recita il titolo della mostra, un El Greco in Italia, con l’esposizione di 25 delle 35 opere che questo pittore realizzò durante il soggiorno nella nostra penisola.
Non che Goldin mi piaccia in maniera particolare, ha l’abitudine di mettere insieme cose incredibili con un filo logico e artistico che spesso vede solo lui, da alle sue mostre titoli werthmulleriani, che devi stare mezzora solo a leggere quello, però ha successo, ha portato parecchia gente a Treviso (e altrove) quando esponeva gli impressionisti, in questo caso specifico, cioè in merito alla sua collaborazione con la giunta di Manildo, aveva pensato di esporre nel complesso di Santa Caterina, più spazioso e luminoso, mentre a Ca’ dei Carraresi le opere degli impressionisti, soprattutto le più grandi, sono state sacrificate agli spazi limitati e alla scarsa luminosità delle sale, a quest’ultima si era cercato di rimediare malamente con fari direzionabili che creavano un fastidioso riflesso sulla superficie delle opere.
Inoltre, aveva in mente il progetto di celebrare finalmente alcune figure che appartengono alla storia artistica e culturale del capoluogo della Marca, basti citare per tutti Arturo Martini, Gino Rossi, Alberto Gianquinto e Carlo de Roberto, tutti artisti sottostimati dai critici e poco considerati persino nella loro stessa città di origine.
Se queste sono le beghe, questo il livello culturale imperante, questi i valori dominanti, non deve stupire che in tutto il Veneto (e nel nord-est in generale) sia molto difficile trovare una buona pizza; la pizza è compatibile con la mafia, con qualsiasi criminalità organizzata, con tutti i difetti politici e culturali che può avere il sud, ma non è compatibile con l’aridità del nord.

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Mancano proprio le basi, le fondamenta, l’ABC per fare una buona pizza, l’impasto ad esempio, che assomiglia di più al pane carasau, che si sbriciola ai bordi quando tenti di tagliarli, manca una salsa di pomodoro decente, manca la mozzarella, è proprio inutile provare a tirala su con la forchetta, non fila, non è fiordilatte, è formaggio fuso e, infine, manca il forno a legna nella stragrande maggioranza dei casi … come si fa a fare una pizza senza forno a legna … sono sconfortato.
Questo non vuol dire che setacciando tutto il Veneto in lungo e in largo non si trovi una piazza decente, vuol dire che ciò è estremamente difficile, nemmeno in alcune pizzerie dal titolo evocativo “Bella Napoli”, “O Vesuvio”, “Mergellina”, “Santa Lucia”; ma non impossibile, inspiegabilmente, dopo anni di croste spacciate per pizza, quando ormai ci avevo perso le speranze, avevo trovato proprio nel posto che meno mi aspettavo di trovarla, un’ottima pizza.
Era una pizzeria di Falcade, dolomiti bellunesi, comprensorio dell’agordino, quasi non ci credevo, un buon impasto, un pomodoro denso e gustoso, una mozzarella autentica, che si univa ai buoni sapori della montagna, i funghi, lo speck, la salsiccia, il radicchio selvatico … poi ho scoperto che il pizzaiolo era napoletano finito chissà come in quella landa di terra ad oltre 1100 m. sul livello del mare a far pizze per turisti e montanari.
Quando il pizzaiolo andò via, per motivi che non ho mai saputo, né ho mai saputo se si fosse trasferito a lavorare presso un’altra pizzeria o ne avesse aperta una tutta sua, passarono soltanto pochi mesi e la pizza ritornò sconsolatamente ad essere una semplice e banale pizza veneta, cotta in forno a legna, e mi faceva la stessa tristezza e l’impressione di quelle città e quei monumenti bellissimi ricoperti di vegetazione dell’India del nord, ormai dominati da clan di scimmie che ti impediscono di avvicinarti … mestamente e velocemente passai dalla pizza al tagliere di polenta funghi e speck di montagna.

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Da qualche anno, poi, ho scoperto, molto vicino a casa mia, una pizzeria in cui la pizza è decente e ciò mi ha riconciliato almeno un  po’ con l’universo pizza del Veneto; ora, è pur vero che i titolari sono di origini napoletane (dove per napoletane in genere si intende talvolta tutta la Campania … ho conosciuto alcune persone che mi hanno detto di essere di Napoli, ho scoperto solo dopo che erano della provincia di Avellino, ma potrebbero essere anche delle regioni limitrofe … Renzo Arbore, che pure è di Foggia, asseriva di essere napoletano … sembra quasi che esista a Napoli un’unica differenziazione: o sei del “Vomero” o sei di Napoli (un comprensorio indefinito che comprende tutta la Campania, il basso Lazio, la Ciociaria, il basso Molise, la Puglia del Nord, la Basilicata tutta impacchettata e col fiocco regalo, la Calabria del nord almeno fino a Cosenza, perché la Calabria del sud è già Sicilia, una Sicilia col peperoncino, e pure qualche cantone svizzero).
Ed è anche pur vero che vantano un’attività a Treviso fin dal 1957, ed è pur vero che la pizza che esce dal loro forno a legna, così com’è è già di buona qualità, tuttavia, quando siamo entrati in un minimo di confidenza col proprietario, “napoletano” di seconda generazione, nato e cresciuto in Veneto, mi sono sentito di dargli qualche suggerimento che ha migliorato un prodotto che già di base era buono di suo: qualche alleggerimento qui e la in alcune pizze, qualche aggiunta in altre per dare un po’ più di sapore, qualche mestolo in più di salsa di pomodoro in pizze che sostanzialmente mi sembravano anemiche, il bordo un po’ più sottile, in modo che si cucinasse meglio e diventasse più croccante all’esterno pur mantenendo la morbidezza interna.
Mi sono sempre chiesto perché il Venero e il nord-est in generale, siano così penalizzati per ciò che riguarda la pizza, a Milano ad esempio non è difficile trovare una buona pizza, non lo è neppure a Torino, nonostante io fossi partito con molti pregiudizi, a Genova, invece, è un disastro, ti presentano in genere delle croste enormi, quasi delle ruote di carro, e le definiscono pizza, per fortuna ho li dei parenti che lavorano da anni nel campo della ristorazione che, pur non facendo personalmente pizze, sapevano indicarmi dove potevo trovarne di molto buone.
A Roma è un terno al lotto, nella stragrande maggioranza dei casi c’è il pollice verso, se i pizzaioli romani dovessero essere soggetti al giudizio dei clienti come i gladiatori nell’arena, molti di loro sarebbero in pasto ai leoni, se fossero vissuti ai tempi di Diocleziano, invece della persecuzione e del martirio dei cristiani si sarebbe parlato della persecuzione e del martirio dei pizzaioli romani; poi, conosci un amico (chi non ha almeno un amico a Roma), che lavora al ministero, che da anni abita a Roma e che ti porta finalmente in una buona pizzerie dove c’è l’unico pizzaiolo scampato alle fauci dei leoni che ti fa una pizza come si deve.
E’ stato triste constatare che a Roma era più buona la pizza da Spizzico che quella delle pizzerie artigianali, a Lecce dopo qualche tentativo ci ho rinunciato, a salvarmi è stata la “puccia”, un panetto di pasta da pizza scaldato in forno, aperto come un kebab e riempito di qualsiasi cosa; e non va meglio altrove, forse sono io che sono difficile, incontentabile, ma trovo che la qualità della pizza in tutto il territorio nazionale sia appena mediocre o di scarsa qualità, e che poche isole, nel senso di pochi locali e ancor meno zone territoriali, fanno eccezione a tutta questa mediocrità.

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Mentre la differenza al nord fra l’est e l’ovest e fra le grandi città e le piccole me la sono spiegata con le ondate migratorie dal sud in tempi diversi, con città come Milano e Torino invase da operai e contadini meridionali, alcuni dei quali, particolarmente dotati, rilevavano qualche locale nei quartieri dove alloggiavano tutti quelli che provenivano dal meridione, e facevano la cucina delle loro zone d’origine, perché tutti quanti sentissero un po’ meno la nostalgia di casa, e che poi si facevano arrivare i prodotti tipici dalla loro terra e che si perfezionavano fino all’eccellenza, in alcuni casi.
Al nord est e nelle piccole città sono arrivati successivamente quei meridionali che come me o hanno studiato in qualche città del nord e ci sono rimasti oppure hanno fatto qualche concorso e, aiutati certamente dai voti di laurea elevatissimi e regalati al sud, hanno prevalso sui loro competitor del nord e si sono aggiudicati chi una cattedra, chi un posto al ministero, chi un posto nella pubblica amministrazione.  
Si tratta di tutta gente come me che non sa fare niente, nessun lavoro manuale, non sa sistemare il tubo del lavabo, un guasto nell’automobile, montare una appliques o un lampadario, fare una derivazione elettrica senza rischiare che qualcuno rimanga fulminato, sa solo leggere i decreti e le circolari del ministero e protocollare un documento, ma soprattutto oltre a non saper cucinare, non fa fare una pizza.
Questo forse spiega, almeno in parte, la situazione al nord, non certo il perché anche al sud o al centro non sia così facile trovare una buona pizza, spero che qualche storico del gusto ci illumini su questa questione, perché in fondo io faccio lo psicoanalista, e dovrei occuparmi di dinamiche mentali e relazionali, non dell’elasticità o della croccantezza dell’impasto di una pizza.

1 commento:

  1. E' uno dei tanti nodi che ho imparato a fare durante la frequenza del primo anno dell'Istituto Nautico Andrea Doria a Genova; lezioni di Marinaresche con anche uscita in lancia a remi nel porto. Avventura che poi ha lasciato il posto ad altro indirizzo scolastico e percorso di vita.

    Ciao da luigi

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