martedì 26 maggio 2015

YOUTH









Punta in alto, stavolta, Paolo Sorrentino con questo suo Youth (la giovinezza), ambientato quasi del tutto in un Hotel de Charme Relais jugendstil incastonato nelle Alpi svizzere, ai confini del cielo, quasi allo stesso livello delle nuvole; uno di quei posti dove si inseguono bellezza, salute e la perduta giovinezza, le funzioni di quel corpo che con l’età sembrano rallentate o le modifiche ad un corpo che si vuole far rientrare più possibile in canoni di bellezza quanto mai standardizzati, imperanti fino alla ferocia, rigidi fino alla follia.
Non si tratta più qui, come ne La grande bellezza, di inseguire le vicende di un oscuro (per il resto del mondo) arbiter elegantiarum in un mondo senza eleganza, maître à penser  in un mondo sans pensée, vestito pacchianamente con banali colori pastello e corredato persino di un’orrenda panciera che da quel tocco di mondana vanità che condisce il personaggio come un pinzimonio, con i capelli tinti e l’espressione perenne sul viso da magnaccione romanesco.
Né di inseguire impietosamente la cafonaggine romana di un mondo, come quello romano/italiano, che sa perfettamente di essere periferia, parassitismo, nullità, inutilità, senza alcuna affettazione e senza scopo alcuno; o i tanti vizi e le poche virtù di potenti prelati in odore di sacro soglio, di giornalisti di partito famosi e celebrati che ormai non legge più nessuno, di imprenditori spiantati, di editori nani, di sante terese di Calcutta, di matti che vogliono raggiungere il “successo” dando craniate sui piloni dell’acquedotto romano, di aironi che volano sopra i tetti di Roma, di donne formose che fanno le spogliarelliste per pagarsi le cure di una grave malattia, di turisti cinesi, di nobili in affitto, di scrittori in cerca di successo che se ne tornano a casa, di feste pacchiane e di visite ai palazzi romani di notte.









Qui siamo pur sempre in area vip, ma non locale, non romanesca, non cafona, c’è la mitteleuropa bene in questo hotel, donne con occhi azzurri e verdi … da gatta, da vetro di Murano o da murrina veneziana, che emanano un benessere che si deposita pur nelle pieghe della loro pelle da vecchi o nelle loro fattezze di giovani, sembrano tutti cesellati e rifiniti da artisti valenti, da maestri di roba fina, non "merce" che puoi trovare al mercatino che proviene da Hong Kong.
Trovi registi che non si arrendono al declino, direttori d’orchestra che non dirigono più … nemmeno quando è la stessa regina d’Inghilterra a chiederglielo, attori famosi che stanno “preparando un personaggio”, bambini prodigio col violino, belle signore di tutte le età, miss universo che tolgono il fiato e che ti ridanno fiducia sull’esistenza di Dio, Diego Armando Maradona obeso, in disarmo e senza fiato che però palleggia ancora bene con una palla da tennis, medici di un cinismo incredibile che viene scambiato per ironia e ragazze massaggiatrici che leggono il mondo con i propri polpastrelli e che inventano passi di danza al computer e monaci buddisti (che non si sa bene che ci facciano in un hotel sulle Alpi svizzere) che alla fine lievitano ... quando ormai non ci crede più nessuno … quando non li vede nessuno.
Vagheggia nell’ovatta di musiche celestiali ed elettroniche di buon gusto (com’era nell’altro film), fra un tizio che disdegna di dirigere la London Philarmonic Orchestra e in alta montagna dirige un orchestra di mucche al pascolo con tanto di picchio, di urogallo e di scroscio dell’acqua di ruscello che intervengono a scandire il tempo.









Per capire che ci troviamo nella soffice impalpabilità vaporosa delle nuvole basta soltanto meditare sulla scelta dell’attore protagonista: Michel Caine, con la sua bianca e ondulata chioma e gli occhi da pesce lesso, a cui segue il brizzolato tendente al bianco di Harvey Keitel, con i suoi occhi di lince, o le linee dolci e flessuose di Rachel Weisz, mollata dal marito perché: “Non è brava a letto” (ma che basta guardarla per capire che non è vero, che invece ti farebbe impazzire se capitassi sotto le sue lenzuola) e corteggiata in maniera incredibilmente stravagante da uno scalatore, una specie di Ronald Meissner svizzero, uno che la porterà ad altezze celestiali, in tutti i sensi.
Ce lo dicono le continue incursioni nell’onirico, che non sempre ho apprezzato, perché avevano un che’ di hollywoodiano (tipico di chi vince un Oscar ... si, l'Oscar Rafone ... e poi si monta la testa), o il fastoso concerto finale per la regina e il principe consorte, molto affettato e raffinato, ce lo dice l’atmosfera stessa dell’hotel, talmente lussuoso da sembrare un sogno e abbastanza decadente e datato da trasportarti quasi in un altro tempo, nell’epoca d’oro delle vacanze termali, da farti quasi stupire, trasecolare, incantare perché sembri uscire dal mondo tecnologico e hard che conosci.
Tutte quelle fräulein in divisa, i camerieri e il personale tutto in livrea, i medici gli infermieri e gli estetisti in camice, gli assistenti con uniformi riconoscibili, persino i pazienti e gli ospiti dell'hotel hanno l'accappatoio e gli asciugamani tutti uguali, tutti uniformemente ripiegati a forma di testa di cigno, tutti in coda, o allineati per le terapie, per la piscina, ridicoli omuncoli deformati dalla rifrazione dell'acqua e del vapore che li ricopre e li circonda, sottoposti a qualsiasi tortura e alla noia più mortale pur di star bene, essere in forma o esteticamente belli.
E solo in Svizzera questo può accadere, un popolo che si dedica maniacalmente a costruire orologi fra i più precisi al mondo, che infonde un'infinita pazienza ad intagliare scatole di legno, a scolpirvi figure, ad inserirvi meccanismi di precisione per farne orologi a cucù che si muovono con una precisione e con una sincronia che sbalordisce, e che realizza coltellini, utensili di complicata fattura e produce formaggi unici al mondo.  
È praticamente un incubo quell’ossessione di tutte le età alla salute e alla bellezza, l’attenzione maniacale all’attività che svolgi, agli esercizi che fai, ad esami, terapie, saune, massaggi, alla dieta su cui si depositano tutte le tue nevrosi e tutte le tue difficoltà di vivere sotto la patina di attenzione alla linea e alla salute, alle gocce di pipì che emetti in un giorno.
Fred Ballinger è il protagonista del film, anziano e disincantato, sostiene che alla sua età è inutile volersi rimettere in forma e forse, ma questo lo aggiungo io, è inutile a qualsiasi età perché la forma che hai è semplicemente ciò che sei, e vorrebbe sapere dal suo più caro amico, il regista  Mick Boyle, com’era a letto quella ragazza (Gilda, mi pare) di cui erano innamorati entrambi, mentre quest’ultimo fa di tutto per non fargli capire se lui lo sa, pur negando di essere mai sto con lei.
Ma non crediate che il film sia del tutto etereo ed iperboreo, ogni tanto (molto più spesso di quanto crediate) verrete colpiti da vere e proprie staffilate in faccia di carne rossa sanguinolenta, proprio quando credevate di essere diventati vegani, di nutrirvi soltanto di nettare e di ambrosia e di odiare persino i derivati animali come latte, formaggi e uova.
Vi arriverà un sonoro schiaffo di quelli  che fanno più eco di uno jodel che risuona sulle vallate alpine, solo perché avrete guardato una signorina che ancheggiando attraversa la sala da pranzo, uno sguardo impercettibile per tutti, ma che vostra moglie ha avvertito di sicuro o, il che è lo stesso, che ha creduto di avvertire; non si tratta di semplice gelosia, è un gioco molto più complesso e molto più perverso .








Sentirete i bramiti e gli ululati di una signora in calore che scopa selvaggiamente (non scandalizzatevi, non dobbiamo aver paura dei termini, anche dei più volgari, quando non ne esistono altri che non siano eufemistici per definire certe cose … si sarebbe anche potuto dire: “Se la sbatteva nel bosco contro un albero” se preferite ma di certo non: "Facevano l'amore") col marito nel bosco (lo schiaffeggiato, e non crediate che sia un caso, schiaffo e sesso sono legati fra loro … prima dello schiaffo non avreste mai immaginato tutta questa passionalità in questa coppia), potrete osservare il fisico alto, slanciato tetragono e segaligno dello scalatore che corteggia, con successo, la figlia di Fred e i suoi modi rustici che vi riporteranno con i piedi ben piantati per terra … e persino la follia della moglie di Fred che fissa nel vuoto i canali di Venezia, vi riportano su un piano di realtà.
Di cosa parla Sorrentino in Youth? Mentre nella Grande bellezza parlava dell’amore, del successo, della noia, della grande deriva che il mondo occidentale ha imboccato, e solo alla fine, attraverso una sottile malinconia che conduce ad una bellezza indicibile, si giunge a mettere a fuoco lo “scopo della vita” (ricordate la “fessa” o “l’odore delle case dei vecchi”?), qui parla della fine, della vecchiaia, della solitudine, della morte.
Cosa resterà di noi quando non ci saremo più, cosa resta di noi quando siamo vecchi e il mondo è in mano ai giovani? I ricordi che avremo lasciato nelle persone care, in coloro che ci hanno amato? E perché allora abbiamo l’impressione che lo sforzo per farci ricordare sia stato enorme, titanico, e i risultati molto miseri? Perché le persone sembrano ricordare le cose in maniera completamente diversa da come le ricordiamo noi, non tanto negli avvenimenti reali e realmente accaduti, ma anche nella valenza affettiva che noi diamo loro?
Quali ricordi poi se Igor' Stravinskij è sepolto quasi dimenticato sotto una lastra di pietra disadorna e senza fiori nel cimitero dell’isola di san Michele a Venezia, mentre la tomba di Lady D. è continuamente sommersa di fiori, di bigliettini, di lettere, bagnata dalle lacrime della gente e per lei persino Elton John si è scomodato a dedicarle una canzone?
I due amici, Fred il direttore d’orchestra e Mick il regista non potrebbero essere più diversi in quanto ad affrontare il problema del loro declino e della loro prossima scomparsa (vista l’età avanzata), quest’ultimo insegue il film dei film, l’ultimo film che sia il suo testamento artistico e spirituale, quello in cui sogna di raggiungere vette insperate … ma a giudicare dalle proposte sembra a corto di ispirazione, di idee e circondato da simpatici sfigati.
Alla fine sarà il suicidio il suo capolavoro, si butterà dalla finestra dell’hotel sotto gli occhi attoniti dell’amico che non prova nemmeno a fermarlo (ho pensato a Mario Monicelli quando l'ho visto), e dopo aver ricevuto il rifiuto dall’attrice che sente più vicina l’unica che potrebbe interpretare la parte della protagonista femminile che ha in mente, che si defila perché pensa di interpretare un serial televisivo che le risolverà gli innumerevoli problemi economici, ma non quelli psicologici … perché la si vede litigare di brutto con le hostess dell’aereo in preda ad un attacco di panico piuttosto violento.







Fred è apatico, vuole fermare il tempo, non vuole aggiungere più nulla al suo successo, vuole che lo ricordino per le buone cose che ha fatto, tergiversa sulla sua biografia che gli viene sollecitata da una casa editrice francese e alla fine manda tutto al diavolo, rifiuta di accettare di dirigere ancora una volta in una kermesse per i reali inglesi, nel corso del quale gli sarà conferito il titolo di lord.
Il motivo? Quando non ne può più glielo urla un faccia all’emissario della regina, le sue Opere Semplici non possono essere interpretate perché l’ultima donna a cantarle è stata sua moglie e questa non può più farlo … finché lui sarà in vita non accetterà di dirigere qualche altro soprano su quelle note.
Forse alla fine capisce che ciò che vorrebbe fermare non esiste più comunque, che gli si è sgretolato tutto col tempo e che l’unico modo di fermare il tempo è quello di seguirne il fluire, quello di continuare a fare cose nuove finché siamo in vita … per questo accetterà, alla fine, di dirigere l’orchestra ancora una volta.
Non avrebbero potuto essere più diversi Mick e Fred, per quest’ultimo le emozioni sono sopravvalutate, per il primo le emozioni sono tutto; sbagliano entrambi se cristallizzano tutta la questione in maniera polare e diametralmente opposta: o è vera l’una cosa, o è vera l’altra, e hanno entrambi ragione perché ciascuno coglie un aspetto delle emozioni.
Le emozioni sono molto importanti, ma sono sensazioni di breve durata, caleidoscopiche, fluttuanti, non fai in tempo a fissarne una che ne stai già provando un’altra, non fai in tempo a capirla, a viverla, che già si è trasformata in qualcos’altro, ciò che è importante è ciò che ci fai con le emozioni: puoi comporre, se sei un artista, opere indimenticabili, per esempio, o puoi usarle come mattoni per costruire qualcosa dentro di te, per edificare ciò che sei e vuoi essere, oppure ancora puoi riversarle all’esterno, donandole a chi ti sta vicino … in fondo è il legame emotivo fra le persone tutto ciò che rimane anche quando siamo lontani, anche quando qualcuno non c’è più, sepolto sotto una lastra di pietra.







“Che cosa resterà di me? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?”
(Franco Battiato, Mesopotamia, in Giubbe rosse, 1989).


Del film La grande bellezza ne avevo parlato, in un certo senso, QUI.


3 commenti:

  1. Quando ho letto il titolo del post ho pensato all'unico film di Sorrentino che ho visto "This must be the place". Mi era piaciuto non so se per la storia in sé o per la bravura del protagonista che ad un certo punto dice:

    Il vero problema è che passiamo senza neanche farci caso dall'età in cui si dice "un giorno farò così" all'età in cui si dice "è andata così".

    Più o meno era questo il filo dei miei pensieri mentre leggevo fino a quando non sono arrivata alle parole di Battiato che mi anno fatto davvero pensare...
    Perché vogliamo ricordare e perché è così difficile dimenticare...

    Ciao
    Julia

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  2. Sorrentino l’ho incontrato quasi casualmente proprio a partire dall’unico suo film che non mi è piaciuto: Il divo; se lo conosci poco ti consiglierei di vedere anche Le conseguenze dell’amore e, naturalmente, La grande bellezza.
    La dicotomia fra la proiezione nel futuro o il rammarico/malinconia per il passato è illustrata molto bene dai due amici protagonisti del film: Fred Ballinger (Michel Caine) che interpreta un direttore d’orchestra/compositore che rifiuta ormai ogni proposta, di continuare a comporre, di dirigere ancora o di collaborare ad una sua autobiografia, e Mick Boyle (Harvey Keitel) regista, che vorrebbe girare l’ultimo suo film, il suo capolavoro, il suo testamento artistico e spirituale.
    Mi è parso singolare il fatto che Mick, ancora impegnato nel suo lavoro e nella vita, venisse sfuggito e dissuaso, mentre Fred che vuole chiudere e chiudersi, venisse inseguito, pregato, esortato, stimolato.
    Di Battiato conosco i suoi testi a memoria, è facile ed agevole per me legare ciò che canta a molte cose che mi accadono nella vita, anche la visione di un film.
    Ricordare, si può dire che gran parte del mio lavoro consiste nell’aiutare i miei pazienti a prendere contatto con qualcosa di doloroso che hanno preferito dimenticare; però, ad alcuni miei colleghi che tenevano un corso aperto al pubblico per apprendere le mnemotecniche e la “lettura veloce” ho fatto la battuta che sarebbe più utile insegnare alla gente delle tecniche per dimenticare, e non solo quelle per ricordare.
    Credo sia essenziale potersi dimenticare, uscire di tanto in tanto dall’Io e disperdersi, obliarsi, abbandonarsi all’attimo presente … solo in questo modo ci possiamo poi ritrovare: la vita non è una fuga in avanti, un percorso lineare, una progressione, è piuttosto un percorso circolare o a spirale, un movimento di almeno due tempi, uguali e contrari, come la sistole e la diastole del battito cardiaco.
    Ciao

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  3. Scorrevano i titoli di coda nel buio del cinema e nessuno degli spettatori accennava ad alzarsi per andar via. È durato qualche secondo, questo istante di collettivo immobile stupore. Sono uscita ubriaca. E poi sono tornata lì dopo qualche giorno per guardarlo di nuovo, e ubriacarmi ancora, come capita con quelle musiche che ascolti, e poi ascolti e riascolti, cogliendo ogni volta nuove note, nuove vibrazioni, e non ti stanchi.
    Come quando, minuscola bambinetta con le trecce, al cinema con mio padre in una delle rare volte in cui ebbe mai ad accompagnarmi, gli chiesi di guardare per due volte consecutive "Pomi d'ottone e manici di scopa", e lui, taciturno e imperturbabile qual era, mi stupì per la docilità cui si abbandonò a questa mia richiesta. Ed io lo ricordo lì, unica volta bambino vicino a me bambina. E poi l'ho rivisto bambino nel suo letto...prima di andar via per sempre.
    La giovinezza è l'esultanza del gioco. E il gioco è la vita....
    Quanto tempo impieghiamo a dimenticare la passione che riuscivamo ad infondere in tutto ciò che ci dava semplicemente piacere ?
    Incantevole film...ciao
    Flâneuse

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