venerdì 17 ottobre 2014

COME VELTRI CH'USCISSER DI CATENA







«Di rietro a loro era la selva piena
di cagne, bramose e correnti
come veltri ch'uscisser di catena».

(Inferno, Canto XIII, 124-126).





Nastagio degli Onesti, amando una de’ Traversari, spende le sue ricchezze senza essere amato. Vassene, pregato da’ suoi, a Chiassi; quivi vede cacciare ad un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani. Invita i parenti suoi e quella donna amata da lui ad un desinare, la quale vede questa medesima giovane sbranare; e temendo di simile avvenimento prende per marito Nastagio. 





Come Lauretta si tacque, così, per comandamento della reina, cominciò Filomena:
Amabili donne, come in noi è la pietà commendata [1], così ancora in noi è dalla divina giustizia rigidamente la crudeltà vendicata; il che acciò che io vi dimostri e materia vi dea di cacciarla del tutto da voi, mi piace di dirvi una novella non men di compassion piena che dilettevole.
In Ravenna, antichissima città di Romagna, furon già assai nobili e ricchi uomini, tra’ quali un giovane chiamato Nastagio degli Onesti, per la morte del padre di lui e d’un suo zio, senza stima [2] rimaso ricchissimo. Il quale, sì come de’ giovani avviene, essendo senza moglie, s’innamorò d’una figliuola di messer Paolo Traversaro, giovane troppo più nobile che esso non era, prendendo speranza con le sue opere di doverla trarre ad amar lui; le quali, quantunque grandissime, belle e laudevoli fossero, non solamente non gli giovavano, anzi pareva che gli nocessero, tanto cruda e dura e salvatica gli si mostrava la giovinetta amata, forse per la sua singular bellezza o per la sua nobiltà sì altiera e disdegnosa divenuta, che né egli né cosa che gli piacesse le piaceva.
La qual cosa era tanto a Nastagio gravosa a comportare, che per dolore più volte, dopo molto essersi doluto, gli venne in disidero d’uccidersi. Poi, pur tenendosene, molte volte si mise in cuore di doverla del tutto lasciare stare, o, se potesse, d’averla in odio come ella aveva lui. Ma invano tal proponimento prendeva, per ciò che pareva che quanto più la speranza mancava, tanto più moltiplicasse il suo amore. Perseverando adunque il giovane e nello amare e nello spendere smisuratamente, parve a certi suoi amici e parenti che egli sé e ‘l suo avere parimente fosse per consumare [3]; per la qual cosa più volte il pregarono e consigliarono che si dovesse di Ravenna partire e in alcuno altro luogo per alquanto tempo andare a dimorare; per ciò che, così faccendo, scemerebbe l’amore e le spese. Di questo consiglio più volte fece beffe Nastagio; ma pure, essendo da loro sollicitato, non potendo tanto dir di no, disse di farlo; e fatto fare un grande apparecchiamento, come se in Francia o in Ispagna o in alcuno altro luogo lontano andar volesse, montato a cavallo e da suoi molti amici accompagnato di Ravenna uscì e andossene ad un luogo forse tre miglia fuor di Ravenna, che si chiama Chiassi [4]; e quivi, fatti venir padiglioni e trabacche [5] disse a coloro che accompagnato l’aveano che star si volea e che essi a Ravenna se ne tornassono. Attendatosi adunque quivi Nastagio, cominciò a fare la più bella vita e la più magnifica che mai si facesse, or questi e or quegli altri invitando a cena e a desinare, come usato s’era.







Ora avvenne che uno venerdì quasi all’entrata [6] di maggio essendo un bellissimo tempo, ed egli entrato in pensier della sua crudel donna, comandato a tutta la sua famiglia [7] che solo il lasciassero, per più potere pensare a suo piacere, piede innanzi piè sé medesimo trasportò, pensando, infino nella pigneta. Ed essendo già passata presso che la quinta ora del giorno [8], ed esso bene un mezzo miglio per la pigneta entrato, non ricordandosi di mangiare né d’altra cosa, subitamente gli parve udire un grandissimo pianto e guai [9] altissimi messi da una donna; per che, rotto il suo dolce pensiero, alzò il capo per veder che fosse, e maravigliossi nella pigneta veggendosi; e oltre a ciò, davanti guardandosi vide venire per un boschetto assai folto d’albuscelli e di pruni, correndo verso il luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta graffiata dalle frasche e da’ pruni, piagnendo e gridando forte mercè [10]; e oltre a questo le vide a’ fianchi due grandi e fieri mastini, li quali duramente appresso correndole, spesse volte crudelmente dove la giugnevano la mordevano, e dietro a lei vide venire sopra un corsiere [11] nero un cavalier bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco [12] in mano, lei di morte con parole spaventevoli e villane minacciando. Questa cosa ad una ora maraviglia e spavento gli mise nell’animo, e ultimamente compassione della sventurata donna, dalla qual nacque disidero di liberarla da sì fatta angoscia e morte, se el potesse. Ma, senza arme trovandosi, ricorse a prendere un ramo d’albero in luogo di bastone, e cominciò a farsi incontro a’ cani e contro al cavaliere.
Ma il cavalier che questo vide, gli gridò di lontano: - Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani e a me quello che questa malvagia femina ha meritato. -
E così dicendo, i cani, presa forte la giovane ne’ fianchi, la fermarono, e il cavaliere sopraggiunto smontò da cavallo.
Al quale Nastagio avvicinatosi disse: - Io non so chi tu ti sé, che me così cognosci; ma tanto ti dico che gran viltà è d’un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda, e averle i cani alle coste messi come se ella fosse una fiera salvatica; io per certo la difenderò quant’io potrò.







Il cavaliere allora disse: - Nastagio, io fui d’una medesima terra teco, ed eri tu ancora piccol fanciullo quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagi, era troppo più innamorato di costei, che tu ora non se’ di quella de’ Traversari, e per la sua fierezza e crudeltà andò sì la mia sciagura, che io un dì con questo stocco, il quale tu mi vedi in mano, come disperato m’uccisi, e sono alle pene etternali dannato. Né stette poi guari [13] tempo che costei, la qual della mia morte fu lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà e della letizia avuta de’ miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò aver peccato ma meritato, similmente fu ed è dannata alle pene del ninferno. Nel quale come ella discese, così ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di fuggirmi davanti e a me, che già cotanto l’amai, di seguitarla come mortal nimica, non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante con questo stocco, col quale io uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e freddo, nel qual mai né amor né pietà poterono entrare, con l’altre interiora insieme, sì come tu vedrai incontanente, le caccio di corpo, e dolle mangiare a questi cani. Né sta poi grande spazio che ella, sì come la giustizia e la potenzia d’Iddio vuole, come se morta non fosse stata, risurge e da capo incomincia la dolorosa fugga [14], e i cani e io a seguitarla; e avviene che ogni venerdì in su questa ora io la giungo qui, e qui ne fo lo strazio che vedrai; e gli altri dì non creder che noi riposiamo, ma giungola in altri luoghi né quali ella crudelmente contro a me pensò o operò; ed essendole d’amante divenuto nimico, come tu vedi, me la conviene in questa guisa tanti anni seguitare quanti mesi ella fu contro a me crudele. Adunque lasciami la divina giustizia mandare ad esecuzione, né ti volere opporre a quello che tu non potresti contrastare. -
Nastagio, udendo queste parole, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato non fosse, tirandosi addietro e riguardando alla misera giovane, cominciò pauroso ad aspettare quello che facesse il cavaliere. Il quale, finito il suo ragionare, a guisa d’un cane rabbioso, con lo stocco in mano corse addosso alla giovane, la quale inginocchiata e da’ due mastini tenuta forte gli gridava mercè; e a quella con tutta sua forza diede per mezzo il petto e passolla dall’altra parte. Il qual colpo come la giovane ebbe ricevuto, così cadde boccone, sempre piagnendo e gridando; e il cavaliere, messo mano ad un coltello, quella aprì nelle reni, e fuori trattone il cuore e ogni altra cosa d’attorno, a’ due mastini il gittò, li quali affamatissimi incontanente il mangiarono. Né stette guari che la giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si levò in piè e cominciò a fuggire verso il mare, e i cani appresso di lei sempre lacerandola; e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, la cominciò a seguitare, e in picciola ora si dileguarono in maniera che più Nastagio non gli poté vedere.





Il quale, avendo queste cose vedute, gran pezza stette tra pietoso e pauroso, e dopo alquanto gli venne nella mente questa cosa dovergli molto poter valere, poi che ogni venerdì avvenia; per che, segnato il luogo, a’ suoi famigli se ne tornò, e appresso, quando gli parve, mandato per più suoi parenti e amici, disse loro: - Voi m’avete lungo tempo stimolato che io d’amare questa mia nemica mi rimanga e ponga fine al mio spendere, e io son presto di farlo dove voi una grazia m’impetriate [15], la quale è questa: che venerdì che viene voi facciate sì che messer Paolo Traversaro e la moglie e la figliuola e tutte le donne lor parenti, e altre chi vi piacerà, qui sieno a desinar meco. Quello per che io questo voglia, voi il vedrete allora. -
A costor parve questa assai piccola cosa a dover fare e promissongliele; e a Ravenna tornati, quando tempo fu, coloro invitarono li quali Nastagio voleva, e come che dura cosa fosse il potervi menare la giovane da Nastagio amata, pur v’andò con gli altri insieme. Nastagio fece magnificamente apprestare da mangiare, e fece le tavole mettere sotto i pini d’intorno a quel luogo dove veduto aveva lo strazio della crudel donna; e fatti mettere gli uomini e le donne a tavola, sì ordinò, che appunto la giovane amata da lui fu posta a sedere dirimpetto al luogo dove doveva il fatto intervenire.
Essendo adunque già venuta l’ultima vivanda, e il romore disperato della cacciata giovane da tutti fu cominciato ad udire. Di che maravigliandosi forte ciascuno e domandando che ciò fosse, e niun sappiendol dire, levatisi tutti diritti e riguardando che ciò potesse essere, videro la dolente giovane e ‘l cavaliere e’ cani; né guari stette che essi tutti furon quivi tra loro.
Il romore fu fatto grande e a’ cani e al cavaliere, e molti per aiutare la giovane si fecero innanzi; ma il cavaliere, parlando loro come a Nastagio aveva parlato, non solamente gli fece indietro tirare, ma tutti gli spaventò e riempié di maraviglia; e faccendo quello che altra volta aveva fatto, quante donne v’avea (ché ve ne avea assai che parenti erano state e della dolente giovane e del cavaliere e che si ricordavano e dell’amore e della morte di lui) tutte così miseramente piagnevano come se a sé medesime quello avesser veduto fare.



La qual cosa al suo termine fornita, e andata via la donna e ‘l cavaliere, mise costoro che ciò veduto aveano in molti e vari ragionamenti; ma tra gli altri che più di spavento ebbero, fu la crudel giovane da Nastagio amata, la quale ogni cosa distintamente veduta avea e udita, e conosciuto che a sé più che ad altra persona che vi fosse queste cose toccavano, ricordandosi della crudeltà sempre da lei usata verso Nastagio; per che già le parea fuggir dinanzi da lui adirato e avere i mastini a’ fianchi. E tanta fu la paura che di questo le nacque, che, acciò che questo a lei non avvenisse, prima tempo non si vide [16] (il quale quella medesima sera prestato le fu) che ella, avendo l’odio in amore tramutato, una sua fida cameriera segretamente a Nastagio mandò, la quale da parte di lei il pregò che gli dovesse piacer d’andare a lei, per ciò ch’ella era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui. Alla qual Nastagio fece rispondere che questo gli era a grado molto [17], ma che, dove piacesse, con onor di lei voleva il suo piacere, e questo era sposandola per moglie.
La giovane, la qual sapeva che da altrui che da lei rimaso non era [18] che moglie di Nastagio stata non fosse, gli fece risponder che le piacea. Per che, essendo ella medesima la messaggera, al padre e alla madre disse che era contenta d’esser sposa di Nastagio, di che essi furon contenti molto; e la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le sue nozze, con lei più tempo lietamente visse. E non fu questa paura cagione solamente di questo bene, anzi sì tutte le ravignane [19] donne paurose ne divennero, che sempre poi troppo più arrendevoli a’ piaceri degli uomini furono, che prima state non erano.
(Novella di Nastagio degli Onesti, Decameron, V, 8).



Note
1) commendata: lodata, elogiata.
2) senza stima: in misura inestimabile.
3) che egli sé e ‘l suo avere parimente fosse per consumare: che fosse destinato a consumare se stesso e il suo patrimonio.
4) Chiassi: Classe, vicino a Ravenna.
5) padiglioni e trabacche: tende di varia dimensione.
6) all’entrata: all'inizio.
7) famiglia: servitù.
8) la quinta ora del giorno: le undici del mattino.
9) guai: lamenti.
10) gridando... mercè: implorando pietà.
11) corsiere: cavallo da combattimento.
12) stocco: spada.
13) guari: molto.
14) fugga: fuga.
15) una grazia m’impetriate: otteniate per me un favore.
16) prima tempo non si vide: non appena le si presentò l'occasione.
17) a grado molto: molto gradito.
18) da altrui che da lei rimaso non era: solo a causa non era ancora successo.
19) ravignane: ravennati.


sabato 11 ottobre 2014

SENTINELLA LUI CI FA …. (@ JULIA)




“Cogito ergo boom."
(Susan Sontag, Styles of Radical Will).



Inizialmente questo post doveva essere una semplice replica al commento che Julia ha lasciato nel post precedente, che riporto per intero qui di seguito:
“Julia09 ottobre 2014 12:31
Conosco bene il film di Chaplin e adoro The blues brothers, avrei dato volentieri la mano a quel ragazzo perché di questi tempi non è facile trovare qualcuno che sappia ironizzare in modo intelligente... A volte ho l'impressione di apparire vecchia e saccente, cosa che non sono, perché non vengo capita sebbene si tratti solo di associazioni di idee che richiedono normali basi culturali e solo un piccolo giro di rotellina cerebrale in più... Hai ragione a parlare di cimiteri dell'intelligenza, molto spesso chi ti sta intorno dialoga solo col telefono e argomenta similmente a Barbara d'Urso, Maria de Filippi e dir si voglia.. Ci sono un appiattimento e una mancanza di stimoli da far pensare..
Delle sentinelle e di quasi tutte le persone che hai citato non ne sono a conoscenza, ho apprezzato il filo del tuo discorso specie la citazione su Cristo..
Ho l'impressione che tutti parlino solo come se i loro discorsi fossero indirizzati esclusivamente a se stessi, manca la volontà di ascoltare gli altri e la volontà di cambiare..
Ciao
Julia”.



Sarà perché Lei è brava a stimolare il mio pensiero, sarà che stanno accadendo molte cose che tendono a discriminare e a perseguitare il diverso solo perché diverso, come ad esempio i recenti fatti fra Israele e Palestina, l’ISIS in cui non sai più chi sia il diverso e tendi a diffidare di chiunque possieda vaghi tratti mediorientali, le Sentinelle con la loro omofobia e la loro discriminazione delle unioni “diverse”, la paura di ebola che sta già creando il panico negli ospedali e mette ancora più distanza fra noi e qualunque persona di colore, il dibattito politico che si è inasprito oltre ogni limite, per cui chiunque abbia un parere diverso dal nostro diventa un cretino e le opinioni diverse deliri e, infine, quel povero ragazzo quattordicenne a Napoli seviziato barbaramente da tre imbecilli, con un contorno di altri imbecilli che minimizza (era uno scherzo) o che ingigantisce (bisognerebbe dargli la sedia elettrica) in cui intravedo un meccanismo simile di difesa e presa di distanza da conflitti interiori accantonati, non elaborati e mai sopiti, ma ne è venuto fuori un testo molto lungo che non può più essere un commento.
Pertanto ho deciso di farne un post che dedico di cuore a Julia, sperando che Lei e Voi lo apprezziate.



La mia impressione è che più che mancare l’intelligenza (e noi per intelligenza intendiamo fondamentalmente il pensiero razionale), manca la “sensibilità”, che appartiene di diritto all’intelligenza tanto quanto l’intelletto.
Se io dico ad esempio che l’eterosessualità è “naturale”, mentre l’omosessualità è “contro natura”, e magari intorno a questa affermazione ci costruisco sopra giustificazioni pseudo-razionali e pseudo-scientifiche a sostegno (che reggono soltanto in ambienti di incultura e di analfabetismo quasi totale) sto semplicemente usando, male, la mia razionalità che, per quanto acuta possa essere mi darà giudizi sulla realtà e sugli altri molto limitati, fuorvianti e, estesi oltre certi limiti, aberranti.
L’eliminazione da parte dei nazisti dei folli, degli oligofrenici, degli omosessuali, degli ebrei, degli zingari e degli oppositori politici era basata sui principi razionali e scientifici dell’eugenetica, sostenuta da molti scienziati in Occidente, in particolar modo da tre premi nobel come  Nikolaas Tinbergen, Karl von Frisch e Konrad Lorenz.
Quest’ultimo scrisse: “Dovere dell'eugenetica, dovere dell'igiene razziale dev'essere quello di occuparsi con sollecitudine di un'eliminazione di esseri umani moralmente inferiori più severa di quella che è praticata oggi. Noi dovremmo letteralmente sostituire tutti i fattori che determinano la selezione in una vita naturale e libera”. (Konrad Lorenz, articolo apparso nel 1940 sulla rivista Zeitschrift fur angewandte Psychologie und Charakterkunde).



Ciò che manca è la capacità di preventivare l’esito e l’impatto delle loro opinioni sugli altri, sui loro bersagli, il non rendersi conto che le loro non sono opinioni, ma giudizi di condanna e spesso anche esecuzioni sommarie, manca il non riuscire a toccare con mano la sofferenza altrui causata dai loro giudizi.
Ad esempio, fa specie che una persona dell’intelligenza di Lorenz, dopo aver sostenuto l’eugenetica e aver fornito così a Hitler l’avallo “scientifico” per l’Olocausto e l’eliminazione dei deboli, degli sbagliati, scriva a posteriori queste righe: “Io, in effetti, ritenevo che dai nostri nuovi governanti potesse venire qualcosa di buono. [...] Lo pensarono praticamente tutti i miei amici e insegnanti, e anche mio padre, che era certamente un uomo gentile e molto umano. Nessuno di noi sospettava che la parola "selezione", nell'accezione data ad essa da questi governanti, significasse assassinio” (Konrad Lorenz, Vorrei diventare un'oca. L'autobiografia e la conferenza del Nobel, a cura di Elena ed Enrico Alleva, Franco Muzzio Editore, Padova, 1997, p. 51).
Preventivava l’ “igiene razziale”, l’ “eliminazione degli esseri umani inferiori” e si stupisce che questo fosse assassinio, come pensava di eliminarli con la gomma da cancellare o con la spugna della lavagna?
Ma, fondamentalmente, oltre a non saper prevedere o leggere i sentimenti altrui, come se possedessero soltanto il codice razionale e non quello emotivo per comprendere le situazioni sociali e relazionali, queste persone non riescono a mettere in relazione la loro presa di posizione con i propri sentimenti che l’hanno suscitata.



Una sentinella in piedi va in piazza a protestare a favore della famiglia “tradizionale”, commettendo l’equivoco di far coincidere la famiglia mononucleare costituita da madre, padre e, in genere, due figli, che si è affermata nel contesto urbano a partire dai primi decenni del secolo scorso, negli USA prima e in Europa nell’immediato dopoguerra a causa dello spopolamento delle campagne, quella veicolata dai film degli anni 50 e che costituisce il target pubblicitario di elezione non soltanto dei prodotti del Mulino Bianco, con la famiglia che la “natura” ha previsto o che Dio stesso ha in mente.
L’altro grande equivoco a cui soggiacciono le Sentinelle è quello di ritenere che lo scopo fondamentale di due individui che stanno insieme sia necessariamente quello riproduttivo, la salvaguardia della specie, mentre l’osservazione approfondita della coppia, transculturale e trans-storica ci farebbe soffermare su un motivo molto più originario al suo costituirsi, e cioè il piacere di stare insieme.
Siamo così certi che Dio, o la Natura, o il Motore Immobile, o chiunque pensiamo ci sia al timone dell’Universo (ammesso che ci sia qualcuno e ammesso che ci sia un timone e, dunque, una direzione), non possa non prendersi cura di noi uomini, che certamente saremo la forma di vita più importante del creato, il tuorlo dentro l’uovo, la perla dentro l’ostrica, e non stiamo nemmeno a perdere tempo a dimostrarlo, anzi non vediamo proprio il motivo perché dovremmo mettere in dubbio una verità così lampante, chiara e cristallina.



Quindi, ci avrà certamente dotati di istinti alla sopravvivenza molto forti e di istinti alla prosecuzione della specie altrettanto forti; questa è la vulgata che discende dalle tre religioni monoteistiche (su cosa pensano in proposito le altre religioni non saprei, non le conosco approfonditamente) e che, stranamente per tutti ma non per Nietzsche e per me che ho avuto la fortuna di leggerlo, la scienza laica ha portato in trionfo con Darwin e dimostrando di non essere mai uscita, nonostante gli intenti, dall’alveo culturale che ha creato i tre monoteismi.
La biologia ottocentesca riteneva irrinunciabili anche nell’uomo gli istinti di sopravvivenza individuale e della specie, che si traducevano per l’uomo ottocentesco in sesso e lavoro, lieben und arbeiten diceva Freud e persino i campi di concentramento nazisti recavano sul cancello d'ingresso “arbeit macht frei” eliminando il lieb che era appannaggio esclusivo delle sole razze superiori: quella ariana e germanica.
Facciamo davvero una fatica enorme a pensare che Dio e Natura potrebbero essere indifferenti alle sorti della specie umana, che non gliene freghi proprio niente se l’uomo dovesse estinguersi come specie al pari delle molte specie che si sono estinte in passato e alle molte che si stanno estinguendo … forse per il "tutto" la sopravvivenza o meno della specie umana è davvero "nulla".



Ed è così difficile che io stesso devo in qualche modo personificare una qualche volontà che decide e chiamarla Dio o Natura, devo supporre che esista qualcosa che ha potere decisionale sulle sorti dell’Universo, e questo a ben vedere è un postulato indimostrabile perché io posso vedere l’Universo come la sublime organizzazione di una mente superiore, salvo poi scoprire che questa mente “superiore” è in tutti i casi la mia e che non è affatto superiore. Oppure che è il frutto del caso più assoluto e del caos, che non possiede nessun ordine, che non segue alcuna legge, che non ha alcuno scopo e che non c’è nessuno alla guida e che forse non sarebbe nemmeno possibile guidarlo, il che mi atterrisce perché la mia vita sarebbe senza senso e perché l’unico senso che potrei darle è il mio.
L’Infant Research da parecchi decenni ormai sostiene che il bambino è relazionale fin da subito, fin dai primi istanti di vita e molto probabilmente lo è anche nella sua vita fetale, la relazione non è secondaria nemmeno alla sopravvivenza e al nutrimento, come hanno dimostrato le osservazioni di René Spitz, gli esperimenti di Harry Harlow sulle scimmie rhesus e la teoria dell’attaccamento di John Bowlby.
Si sta insieme per il piacere di stare insieme, questa è la scoperta straordinaria della psicologia evolutiva e della psicoanalisi post-freudiana; mentre tutti i motivi che sono stati appiccicati sopra alla coppia e alla diade madre-bambino, come la sopravvivenza individuale e della specie, l’individuazione, l’attuazione di sé, e quant’altro, sono tutte motivazioni parziali e secondarie, che escludono pericolosamente quanti non vi rientrano come coppie patologiche, o contro natura.



E penso alla coppia sterile, o perché biologicamente impossibilitata ad avere figli, o per l’adozione di uno stile di vita che non consente la fecondazione (penso ad esempio ad uno stress eccessivo che ostacola o rende difficile la fecondazione), o per scelta (già, c’è pure chi sceglie di non mettere al mondo figli, per motivi suoi), o perché si tratta di coppia omosessuale, in tutti questi casi se decretassimo che scopo naturale della coppia è quello di riprodursi, tutte queste persone sarebbero nel migliore dei casi “non coppie” e nel peggiore delle aberrazioni, degli errori, qualcosa di innaturale … cosa che contrasterebbe con la loro semplice esistenza, perché tutto ciò che esiste è perciò stesso naturale e non può essere altro che naturale.
Dunque, perché una Sentinella dovrebbe sentirsi minacciata dall’esistenza delle coppie di fatto e di coppie omosessuali, perché dovrebbe temere per il suo matrimonio eterosessuale, in chiesa, con tutti i crismi, i fiori e il bouchet, i confetti di mandorla, il pranzo nuziale con torta a più piani, l’orchestrina che suonava, il servizio fotografico, le fedi, la marcia nuziale del Lohengrin di Wagner, il raccomandare caldamente ai ristoratori altrimenti succede una tragedia che la vecchia zia ormai mangia solo semolino liofilizzato e la cugina non mangia pesce e di ricordarsi di non mettere lo zio Luigi accanto allo zio Alberto perché non si possono più vedere da quando litigarono nel 1998 a causa del parcheggio della macchina, perché sembra che lo zio Alberto parcheggiasse la sua macchina occupando parte del parcheggio dello zio Luigi, ma in realtà pare che lo zio Luigi fosse invidioso perché lo zio Alberto aveva comprato una macchina più grossa della sua?



Perché dovrebbe credere che altri tipi di unione diversi dalla sua vanifichino tutto questo fino a metterlo in crisi? La loro stessa esistenza, beninteso, perché nessuno impedisce alla Sentinella di sposarsi secondo la formula che ritiene più idonea, mentre è lui che vorrebbe impedire agli altri di sposarsi o anche, se potesse, di stare insieme, ma siccome non può, allora si accontenta (si fa per dire) che si decretino “sbagliate” tutte le forme di coppia che sono diverse dalla sua, che esistano sanzioni economiche e soprattutto sanzioni morali, se non proprio punizioni, per dissuaderne la diffusione.
Non si comprende tutto ciò se non andando a pescare dentro il magma delle emozioni stesse della Sentinella, andando a calarci dentro la sua rocca emotiva perché è di un’evidenza persino banale che chi è felice e appagato di sé e della sua vita è anche tollerante e guarda agli altri, al diverso, come una possibilità di confronto, di crescita e di ricchezza interiore.
Mentre l’insoddisfatto, il deluso, il frustrato, l’incompleto, il fragile, …, vede l’altro, il diverso come un pericolo e sceglie la moglie e i buoi dei paesi suoi, diventa gretto e meschino al punto tale da voler difendere contro nemici immaginari il gruzzoletto che ha raggranellato, da usare slogan come “prima gli italiani”, o “aiutiamoli a casa loro”, “no al matrimonio gay”, “no alle coppie di fatto”, “no all’adozione gay”, “no al gay pride”, … insomma diventando un coacervo fra un fascista e un leghista.



Per tentare di capirlo devo rivolgermi al maestro dei miei maestri, a Sigmund Freud, che scrive:
“Non è difficile ricostruire questo processo. All’inizio ebbe luogo una scelta oggettuale, un vincolamento della libido a una determinata persona; poi, a causa di una reale mortificazione o di una delusione subíta dalla persona amata, questa relazione oggettuale fu gravemente turbata. L’esito non fu già quello normale, ossia il ritiro della libido da questo oggetto e il suo spostamento su un nuovo oggetto, ma fu diverso e tale da richiedere, a quanto sembra, più condizioni per potersi produrre. L’investimento oggettuale si dimostrò scarsamente resistente e fu sospeso, ma la libido divenuta libera non fu spostata su un altro oggetto, bensì riportata nell’Io. Qui non trovò però un impiego qualsiasi, ma fu utilizzata per instaurare una identificazione dell’Io con l’oggetto abbandonato. L’ombra dell’oggetto cadde così sull’Io che d’ora in avanti poté essere giudicato da un’istanza particolare come un oggetto e precisamente come l’oggetto abbandonato”.
(Sigmund Freud, 1917, Lutto e melanconia, in OSF vol. 8, p. 108).  
“L’ombra dell’oggetto cadde sull’Io”, dice Freud e traccia così i contorni dinamici ed inconsci della depressione clinica (ma anche del lutto), nel nostro caso potremmo dire che l’ombra dell’Io cade sull’oggetto, le proprie paure, i propri nodi irrisolti, non riconosciuti come propri, vengono espulsi all’esterno e viene rintracciato un “oggetto” su cui far ricadere l’ombra del nostro Io, il meccanismo è noto in psicoanalisi e si chiama proiezione.
La proiezione è un meccanismo di difesa inconscio e automatico usato massicciamente nella paranoia, nell’erotomania e nella gelosia patologica; paranoico è colui che si sente perseguitato dal mondo intero e teme che chiunque voglia in realtà danneggiarlo o umiliarlo e che qualsiasi cosa accada ha senza dubbio qualche relazione con lui, in un vero e proprio delirio di riferimento, erotomane è chi è convinto, ad onta del contrario, che una persona sia follemente innamorata di lui e per questo la perseguita con la sua presenza, con messaggi, con telefonate, con regali, geloso è colui che sospetta o si dice certo che il partner lo tradisce.



Così Freud spiega il meccanismo dinamico di queste tre entità psicopatologiche:
“… è degno di nota il fatto che le principali forme conosciute di paranoia possono tutte essere rappresentate come contraddizione all’unica proposizione seguente: ‘Io (un uomo) amo lui (un uomo)’, e che esse in effetti esauriscono ogni formulazione possibile di questa contraddizione.  La proposizione ‘io amo lui (l’uomo) è contraddetta da:
a) Il delirio di persecuzione, per cui il paziente proclama con forza: ‘Io non l’amo – io l’odio’. Questa contraddizione, che nell’inconscio non potrebbe suonare altrimenti, non può tuttavia divenire cosciente nel paranoico in questa forma. Il meccanismo di formazione del sintomo nella paranoia implica che la percezione interna, il sentimento, siano sostituiti da una percezione proveniente dall’esterno. Cosicché la proposizione ‘Io l’odio’ si trasforma grazie a un meccanismo di proiezione nell’altra: ‘Egli mi odia’  (mi perseguita) e ciò mi autorizza  a odiarlo’. In tal modo il sentimento inconscio propulsore si presenta come conseguenza di una percezione esterna: ‘Io non l’amo – Io l’odio perché EGLI MI PERSEGUITA’. L’osservazione non consente in proposito dubbio alcuno: il persecutore altri non è se non l’amato di un tempo.





b) Un altro elemento a cui si ricorre per esprimere la contraddizione è l’erotomania, che al di là di questo modo d’intenderla rimarrebbe assolutamente inintellegibile: ‘Non è lui che io amo; io amo lei’. E la medesima coazione a proiettare fa in modo che la proposizione venga trasformata nel modo seguente: ‘Mi accorgo che lei mi ama’. ‘Non è lui che io amo – io amo lei – perché LEI MI AMA’. Molti casi di erotomania potrebbero dare l’impressione di essere – e senza bisogno di fondarsi su null’altro – effetto di fissazioni eterosessuali esagerate o distorte, se la nostra attenzione non fosse attratta dal fatto che tutti questi innamoramenti hanno inizio non con la percezione interna di amare, bensì con la percezione proveniente dall’esterno di essere amati. In questa forma di paranoia la proposizione intermedia: ‘Io amo lei’ può perfino divenir cosciente perché la contraddizione tra essa e la proposizione originaria [‘io amo lui’] non è assoluta né così insopportabile come quella tra odio e amore. È infatti sempre possibile accanto a lui amare lei. Così la proposizione che viene sostituita mediante proiezione ‘Lei mi ama’ può tornare a convertirsi nella proposizione della ‘lingua fondamentale’: ‘io amo lei’.



c) Il terzo modo di esprimere la contraddizione potrebbe ora essere individuato nel delirio di gelosia, che è possibile studiare nelle sue forme caratteristiche proprie all’uomo e alla donna.
α) Delirio di gelosia dell’alcolizzato. La funzione che ha l’alcool in questa affezione ci è comprensibile da ogni punto di vista. Noi sappiamo che questo liquido delizioso annulla le inibizioni e fa recedere le sublimazioni. Accada, con una certa frequenza, che dopo aver subito una delusione a causa di una donna, l’uomo sia trascinato all’alcool, il che significa, in genere, che egli ricorre all’osteria e alla compagnia degli uomini perché essi sono in grado di assicurargli quella soddisfazione sentimentale che in casa, dalla propria donna, gli è venuta a mancare. Se ora questi uomini diventano oggetti di un investimento libidico troppo forte nell’inconscio dell’alcolizzato, egli se ne difenderà per mezzo del terzo modo di esprimere la contraddizione: ‘Non sono io che amo l’uomo – è lei che lo ama’; e sospetterà la propria donna di amare tutti gli uomini che egli stesso è tentato di amare. La deformazione da proiezione viene qui necessariamente meno perché con lo scambio del soggetto che ama, l’intero processo è comunque gettato fuori dell’Io. Che la donna ami gli uomini è un dato della percezione esterna mentre l’odiare in luogo di amare, o l’amare una persona in luogo di un’altra sono dati propri della percezione interna.



β) Il delirio di gelosia nella donna si presenta in forma del tutto analoga. ‘Non sono io che amo le donne – è lui che le ama’. La donna gelosa sospetta l’uomo di amare tutte le donne che piacciono a lei, e ciò a causa della sua disposizione narcisistica riacutizzata e della sua omosessualità. Nella scelta degli oggetti amorosi che essa attribuisce all’uomo si manifesta chiaramente l’influenza dell’età nella quale in passato si era consolidata la fissazione; spesso si tratta di donne anziane non adatte a un reale rapporto amoroso, nelle quali si reincarnano nutrici, governanti, amiche d’infanzia, o più direttamente le sorelle che erano state sue rivali in amore.
Si potrebbe dunque credere che una proposizione costituita di tre termini quale ‘Io amo lui’ non potesse essere contraddetta che in tre maniere soltanto. Il delirio di gelosia contraddice il soggetto, il delirio di persecuzione il verbo, l’erotomania l’oggetto. Ma esiste invero un quarto modo di esprimere la contraddizione, e cioè il rifiuto globale della proposizione nel suo insieme: ‘Io non amo affatto e nessuno’; tale proposizione, giacché la propria libido va pure indirizzata in qualche direzione, sembra l’equivalente psicologico della seguente proposizione: ‘Io amo solo me stesso’. Questa forma di contraddizione determinerebbe dunque il delirio di grandezza che noi concepiamo come sopravvalutazione sessuale del proprio Io, e che possiamo equiparare alla sopravvalutazione dell’oggetto d’amore che ci è ben nota”.
[Sigmund Freud, 1910, Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (caso clinico del Presidente Schreber), in OSF vol. 6, pp. 389-391]. 


   

Consiglio caldamente alle Sentinelle la lettura di Freud (un’opera a scelta), il Traité sur la tolérance di Voltaire o il Vangelo (aprite una pagina a caso), vi si apriranno mondi sconosciuti e meno feroci del vostro.


Raggi laser che sembran fulmini
è protetto de scudi termici
Sentinella lui ci fa.
(Actarus, Atlas Ufo Robot, 1975).




martedì 7 ottobre 2014

NAZISTI DELL'ILLINOIS







Non ho alcuna intenzione di parlare delle cosiddette Sentinelle in piedi, se volete approfondire l’argomento potete iniziare dal link che vi trasmetto o fare qualche ricerca per conto vostro, ho il sentore che cerchino visibilità ad ogni costo come l’attaccabrighe cerca la rissa in osteria per poi dire subito dopo che lui non c’entra, sono stati gli altri ad iniziare.
Fatto sta che le loro manifestazioni, quelle veglie silenziose con o senza lettura di brani di letteratura incentrati sulla libertà, sulla pace e sulla famiglia, da nord a sud della Penisola, registrano tensioni e sono accompagnate spesso da scontri, spintoni, lanci di uova un po’ troppo frequentemente per farmi sospettare che tanto pacifiche queste manifestazioni poi non devono essere.
Non è che io pensi che le cosiddette sentinelle vadano a manifestare munite di spranghe e bastoni, no, loro vanno in piazza a leggere libri colti, un titolo fra tanti Nella carne col sangue, che non è il promemoria di un macellaio o di un cuoco specializzato in grigliate di carne, no, è un libro scritto da un certo Andrea Torquato Giovanoli e che reca in copertina l’immagine truculenta di un bambino che tiene per mano un adulto, entrambe le mani trafitte da un chiodo, col sangue che goccia.
Leggono le sentinelle, e in questo modo manifestano a favore della famiglia “tradizionale”, certo, lo fanno in modo un po’ bizzarro, ad esempio dicendo che è l’unica famiglia vera, l’unica naturale, l’unica che può legittimamente e spontaneamente avere dei figli, senza nascondere troppo che ritengono le coppie di separati, di divorziati, le coppie di fatto e quelle omosessuali come dei legami sbagliati, innaturali, che devono pagare le tasse come tutti, ma che non pretendano poi dei riconoscimenti, delle tutele o le agevolazioni economiche che si attendono dallo Stato.
Sostengono il diritto alla vita come qualcosa che ha il predominio su tutto, persino sulla persona interessata che dovrebbe essere l’unica e l’ultima a decidere cosa fare riguardo al sottoporsi o meno ad alcune terapie che ti garantiscono una sopravvivenza fisica anche quando sei un vegetale o il dolore è diventato per te insostenibile, riguardo al poter mettere fine alla tua vita quando ritieni che sia giunto il momento e poter essere tu a stabilire quando, come e perché farlo eventualmente.




Riguardo alla possibilità di abortire in casi di rischio per la tua vita, nel caso il feto abbia gravi malformazioni o malattie genetiche di un certo rilievo oggi diagnosticabili con una certa facilità e tempistica, o semplicemente perché non ti senti di mettere al mondo un figlio e l’aborto diventa per te una via dolorosa ma la trovi comunque quella più giusta per te in quel momento storico della tua vita.
Non aiuta a placare gli animi e a non travisare il messaggio di pace che queste persone dicono di voler trasmettere con le loro manifestazioni, il fatto che in alcune occasioni abbiano accettato il sostegno di forza Nuova e che alcuni esponenti di questo movimento, quelli più esposti mediaticamente,  diano della “zoccoletta” e del “frocetto” a destra e a manca.
Così come non aiuta tutto quel vittimismo a cascata che leggi nelle loro pagine virtuali e quel loro sentirsi crociati della verità contro l’umanità intera peccatrice e contro lo stesso papa attuale, ritenuto troppo tiepido, accomodante e “modernista”, mentre contro i miscredenti, i peccatori e la minaccia dell’islam secondo questi signori ci sarebbe voluto un papa con la camicia nera, quello che Ratzinger sembrava promettere e che non ha mantenuto.
Come ogni movimento nuovo ci sono gli ingenui, gli spaventati, i profittatori, i paraculi e gli psicopatici … certe dichiarazioni che sento o che leggo mi impensieriscono, sembra che manchi loro solo la possibilità di farlo, un fiammifero e una catasta di legna per accendere una serie infinita di falò, come è già successo al cristianesimo quando è diventato integralista e ha trasformato un Cristo che si accompagnava a prostitute, pubblicani, pescatori, gente semplice, uno che diceva che il più alto comandamento è “ama il prossimo tuo come te stesso”, in costruzioni artificiali di caste la cui appartenenza segnala un occhio di riguardo da parte di dio stesso, in discriminazioni, in segregazioni, ghettizzazioni, violenze inaudite, pogrom, torture e autodafé per combattere il diverso (il prossimo tuo), la paura che ci suscita e per confermare che noi percorriamo la via giusta, quella della verità e che saremo gli unici ad essere premiati nell’aldilà.




Una visione terrificante, azioni orrende, eppure sono accadute e continuano ad accedere e nascono dall’intolleranza, dalla certezza di essere nel giusto e nel fatto incontrovertibile che gli altri sono in errore, sono un errore e, dunque, vanno eliminati … simbolicamente o fisicamente, quando non basta più il predominio simbolico sull’avversario.
Non mi interessa sapere se la Costanza Miriano sia o no davvero obbediente al marito o sia davvero sottomessa a lui, o se suo marito sarebbe disposto a morire per lei, come scrive nei suoi libri, o come Mario Adinolfi possa sperare di essere un padre migliore di una coppia gay, lui che è stato sposato con una donna da cui ha avuto una figlia, si è separato si è risposato con un’altra donna a Las Vegas, non mi è chiaro cosa faccia per vivere (nel senso che non capisco se è un politico, un giornalista, un opinionista, un giocatore di poker professionista, un avventuriero o un creatore di movimenti, uno scrittore o che altro), che è obeso e certe forme di obesità sono considerata nel DSMV delle vere e proprie patologie da dipendenza di cibo che unite alla (dipendenza?) da gioco darebbero un quadro poco rassicurante di lui come padre e come persona.
Non mi interessano nemmeno le contestazioni dei centri sociali, che considero da non molto differenti in quanto ad integralismo di ciò che contestano a degli ingenui che si fanno usare da questi sedicenti movimenti pacifisti per avere visibilità attraverso il sempre verde meccanismo del vittimismo (Berlusconi ci vive tuttora e non è l’unico, è uno sport italico fra i più praticati).
L’avvenimento che considero, invece, straordinario è che domenica 5 ottobre, in piazza Sant’Anna a Bergamo, mentre manifestavano le sentinelle, un giovane si è presentato vicino a loro con una divisa militaresca, stivali alti, neri, lucidi, cappello da ufficiale, una fascia rossa sul braccio destro che recava gli stessi simboli del personaggio di Charlie Chaplin ne Il grande dittatore a cui deve essersi ispirato, con in mano invece del libro previsto per la lettura del gruppo quel giorno il Main Kampf di Hitler e con un cartello ai suoi piedi sopra la giacca in cui a caratteri gotici era scritto: “I nazisti dell’Illinois stanno con le sentinelle”.
Un genio assoluto, pure a distanza ho sentito il cigolio dell’intelligenza pensante farsi strada in mezzo a quel cimitero dell’intelligenza (e mi riferisco alle Sentinelle e anche ai lanciatori di uova, ai contestatori più o meno beceri e violenti che inconsapevolmente fanno il gioco di ciò che contestano); mi sono piaciute particolarmente le allusioni al film di Chaplin, altro genio che gira quel film beffardo e irriverente nel 1940 mentre in Europa imperversava il fascismo e che rappresenta una delle critiche più feroci e riuscite ad ogni dittatura, perché la dittatura si dissolve nel ridicolo e quella che con i “nazisti dell’Illinois” richiamo un altro film geniale sotto ogni punto di vista The Blues Brothers di John Landis con Dan Aykroyd e John Belushi.
Il giovane è stato fermato e tradotto in commissariato e potrebbe pendere sul suo capo l’accusa di apologia del fascismo perché in un regime (anche in quelli allo stato nascente, in cui a decidere chi comanda è un Grande Vecchio e a decidere chi sta in Parlamento una legge elettorale incostituzionale) la prima cosa che si perde è il senso dell’umorismo … o è il senso del ridicolo?





Non arrestano più nemmeno i militanti di Forza Nuova per apologia del fascismo, ai comizi di Fini e di Berlusconi fioccavano saluti fascisti come se piovesse, Ehia ehia alalà a raffica come se fosse appena giunto ad ispezionare le truppe il duce in persona o il governatore della Libia della cirenaica e della Tripolitania, l’Illustrissimo ed Eccellentissimo Italo Balbo, non arrestano lo Sturmbannführer Mario Adinolfi, già ideatore di Generazione U (molto simile alla Hitler-Jugend per scopi e organizzazione), non arrestano queste Sentinelle, molto più affini al nazismo o al fascismo perché le loro non sono opinioni, non si tratta qui di divulgare un pensiero da parte di una categoria o di un gruppo di persone che si ponga come tale, e cioè come: “Noi pensiamo che sarebbe opportuno … o che sarebbe migliore …”, no, qui si tratta di una valutazione, di una condanna e di una relativa pena proporzionale alla condanna verso chiunque ha idee diverse dalle loro.
Tu come cattolico puoi dire al massimo che un buon cattolico fa così, o che sarebbe bene fare così, non dimenticando mai di aggiungere secondo te, ma non riesco proprio a capire perché un altro cattolico o, a maggior ragione, un laico o un non credente. dovrebbe necessariamente condividere il tuo modo di vedere le cose.




In altre parole, se tu trovi “sbagliata” o “immonda” l’omosessualità molto probabilmente è un problema tuo, non degli omosessuali, forse faresti bene a chiedere aiuto ad un esperto per mettere a fuoco meglio la tua sessualità, perché non si comprende perché dovresti prendertela così tanto se qualcuno ha gusti ed inclinazioni sessuali diversi dai tuoi, a meno che tu non stia tenacemente combattendo contro gli stessi gusti … e allora fra te ed un omosessuale ci sarebbe solo la differenza che lui vive più o meno serenamente la sua sessualità (sempre che non ci sia tu e tanti altri come te a stigmatizzarlo e a combatterlo), mentre tu la vivi conflittualmente e ti crei una fittizia vita da eterosessuale insoddisfatto o omofobo combattendo per interposta persona la tua stessa disposizione.
Oppure, sei semplicemente un sadico che si diverte ad opprimere e a soggiogare (quando può, perché in genere sto parlando di un individuo che agisce solo in condizioni di forza o di autorità, perché di per sé sarebbe un vile e un codardo … come molte camicie nere e molti fascistucoli più recenti).
Se combatti chi decide di mettere fine alla propria vita volontariamente, forse stai cercando di contrastare il tuo terrore della morte e se sei contro l’aborto forse sei tu a viverti come un feto abortito, nonostante tu sia nato e sia stato nutrito, ma magari non credi di aver ricevuto quelle cure materne e quelle attenzioni che avresti desiderato.
Un’ultima cosa e chiudo, trovo assurdo che domenica 5 ottobre da un lato con le sentinelle ci fosse un tizio come Mario Adinolfi che ha un trascorso come politico PD, che contestava il DDL Scalfarotto, altro esponente del PD; la cosa che trovo strana non è che nel PD ci siano opinioni diverse, ma il fatto che queste opinioni siano insanate ed insanabili.
Renzi ha detto giustamente che in un partito si può discutere e si possono avanzare proposte o idee diverse ed anche in antitesi, ma poi il partito mette ai voti le proposte e quella che riceve più consensi è la linea che il partito sosterrà e cercherà di far approvare in Parlamento. Sulla questione dei diritti civili non abbiamo ancora capito il PD da che parte sta, da un lato c’è Scalfarotto che propone DDL senza che nessuno se li fili, dall’altra c’è Adinolfi che in nome di un concetto religioso integralista, sta conducendo una battaglia omofoba, misogina, contro la libertà di coscienza; è urgente che il partito si confronti e si pronunci al più presto e nettamente su questa questione, cosa pensa, dove vuole andare? Non puoi avere un’anima integralista, un’anima riformista e l’anima de li mortacci tua nello stesso partito e cercare così di intercettare i voti di tutti senza poi concludere nulla, perché se fai questo scontenti quelli e se fai quello scontenti questi … per cui, altro che riforme, sei paralizzato e procedi solo a colpi di slogan e di bassa demagogia e duri finché  sei utile ai padroni, finché la gente non si stufa e capisce (ipotesi peregrina in Italia) o finché non viene sbalzato di sella da un nuovo e fresco demagogo.
Quando il PD avrà finalmente deciso su questa questione, qualsiasi cosa prevalga, sia Scalfarotto, sia Adinolfi (e non solo loro, vedo tanta gente confusa) trarranno le proprie conseguenze e decideranno se questo partito ancora li rappresenta e se rimanere o meno al suo interno.

(Aggiunto lo 08-10-2014, ore 17.45)

Il finto nazista dell'Illinois è stato accompagnato in Questura e identificato dalla Digos, si chiama Giampietro Belotti e ai poliziotti ha spiegato che si trattava di una provocazione ironica, nessuna apologia del fascismo; è stato rilasciato, il caso è stato archiviato e nessuno risulta indagato .... non so come vengono selezionati i poliziotti della Digos, e pure gli ufficiali, possibile che nessuno avesse visto almeno una volta il film Il Grande Dittatore di Chaplin o The Blues Brothers di John Landis, o che almeno fosse dotato di un minimo di ironia da capire cosa stava accadendo? 




venerdì 3 ottobre 2014

PERDUTO È TUTTO IL TEMPO CHE IN AMAR NON SI SPENDE 1



Paolo Caliari detto il "Veronese", La conversione di Maria Maddalena, 1548 circa, National Gallery, Londra.


Verona, Ristorante Due Torri, interno

Paolo Caliari detto il "Veronese", Allegoria della Prudenza, 1560-61, Affresco di Villa Barbaro, Maser (TV).

Torrone di Alicante, Locanda Le Muse di San Bonifacio (Verona)



"Perduto è tutto il tempo, che in amar non si spende".
(Torquato Tasso, Aminta, Atto I, 30-31).







Verona sabato 27 settembre ore dalle 14.00 alle 14.30 circa, in una via a pochi metri da piazza Bra (quella dell’Arena), dopo un pranzo eccellente il mio vicino di tavolo, un signore di una certa età, piuttosto corpulento e dal marcato accento veneziano (dopo quasi trent’anni che vivo in veneto sono ormai capace di distinguere le diverse inflessioni locali del dialetto veneto: il vicentino dal padovano, il veronese dal veneziano, il bellunese dal trevigiano, …),  chiacchiera amabilmente col cameriere.
Sono perfettamente rilassato, in gradevole compagnia, preferirei godermi quell’istante di beatitudine in cui posso dedicarmi completamente a ciò che mi piace fare, preferirei mantenere ancora un po’ nella mia mente i sapori squisiti di quel pranzo, del risotto all’amarone, dell’anatra farcita con pistacchi, delle verdure saltate in padella, del generoso valpolicella, della Storica Nera che si apprezza più con l’odorato, non col gusto, tanto è vero che alcune donne venete la usano come profumo (due gocce sui polsi da passare sul collo), e del caffè.
Vorrei pregustare il piacere della mostra che avrei visto da li a poco al Palazzo della Gran Guardia: Paolo Veronese. L'illusione della realtà, giunta ormai ai suoi ultimi giorni, e di quella si poterne parlare a profusione (dopo però, non durante, odio il mormorio mentre sto godendomi qualcosa), ma solo con persone che sanno trasformare l’esperienza estetica della visita ad una mostra nella comunicazione di ciò che hanno autenticamente provato e immaginato.
Non mi piace molto chi razionalizza, chi ci costruisce sopra arditi pinnacoli e nuvole di fumo per eclissarsi dietro le parole, chi produce soltanto bollicine o panna montata perché non ha nulla da dire, ma vuol dirlo con grazia (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray), chi intorbida “le proprie acque per farle sembrare profonde” (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dei poeti).
Paolo Veronese l’ho conosciuto “veramente” visitando a Venezia le Gallerie dell’Accademia, la Chiesa di San Sebastiano, il Palazzo Ducale, La Chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti e Villa Barbaro a Maser (Treviso); nonostante negli anni di liceo avessi studiato la storia dell’arte sul manuale di uno dei più grandi critici d’arte italiani, Carlo Giulio Argan, nemmeno la sua prosa poetica era riuscita ad accendermi la passione per questo grande pittore.

Verona, Arche scaligere, Arca di Mastino II.

Verona, Arche scaligere, arca di Cangrande della Scala.



Paolo Caliari detto il "Veronese", particolare degli affreschi della Sala a crociera di Villa Barbaro a Masier (TV).

Una buona mostra dovrebbe far parlare quanto più possibile le opere che espone e non, viceversa, utilizzare le opere per sostenere le ipotesi e le congetture del (o dei) curatore/i, le didascalie dovrebbero essere semplici e scarne, e dovrebbero servire semplicemente a fornire qualche chiarimento storico, artistico e tecnico sull’autore, sull’opera, sul periodo storico e artistico, senza essere troppo specialistiche o troppo astruse.
Non sopporto le didascalie troppo lunghe, troppo complicate o troppo specialistiche, non sopporto quelle orribili audio-guide che ci fanno sembrare tanti automi telecomandati, con una sorta di antennine che pretendono di captare l’aura artistica dell’opera, mentre in realtà ti nutrono di parole preconfezionate che ti danno l’illusione di aver compreso senza in realtà aver capito nulla.
La fruizione artistica è un’esperienza fondamentalmente emotiva, un’opera che non ti suscita emozioni non si può annoverare come arte, le parole sgorgano dopo, nel momento in cui vuoi comunicare l’emozione provata o vuoi fermarla, delinearla, circoscriverla, prenderne atto, dartene conto, comprenderla meglio.
Ogni strumento che si sovrappone al contatto fra il fruitore e l’opera, soprattutto se è sintonizzato su un registro razionale e non emotivo o è di una emotività dissonante rispetto a quella dell’opera che hai di fronte, crea soltanto disturbo e spesso impedisce l’esperienza stessa, magari sostituendola col contenuto razionale stesso,  meno impalpabile, conturbante o coinvolgente di un’emozione, più facile da memorizzare tanto che sono in molti a ricordare poi quasi esclusivamente le indicazioni delle didascalie o della audio-guida e non sanno dire molto altro dell’esperienza appena vissuta.
Una mostra non è un’opera d’arte singola, c’è sempre un’idea di fondo che seleziona a priori le opere da esporre, non fosse altro che la reperibilità delle stesse e la disponibilità dei musei, delle collezioni, dei privati che le possiedono, di concederle agli organizzatori della mostra stessa; io credo sia necessario che l’idea di fondo, il tema che introduce l’intera mostra sia frutto di una matura riflessione dei curatori e sia possibile esporlo in maniera molto semplice, con pochi ed elementari cenni integrativi alle opere stesse.


Paolo Caliari detti il "Veronese", Martirio e Ultima Comunione di S. Lucia, 1582, National Gallery of Art, Washington

Paolo Caliari detto il "Veronese", Allegoria dell'Amore IV, L'unione felice, 1570 circa, National Gallery, Londra.

Paolo Caliari detto il "Veronese", Allegoria dell'Amore IV, L'unione felice, (dettaglio), 1570 circa, National Gallery, Londra. 



Mostre troppo pretenziose alla fine falliscono il loro obiettivo fondamentale (ma non necessariamente il successo della mostra stessa, che è legato ad altri criteri che non la semplicità della trasmissione dell’idea che fa da perno all’intera mostra), perché alla maggior parte delle persone sfugge il legame di fondo fra i vari artisti e le varie opere rappresentate, ma possono pur sempre apprezzare singolarmente ogni opera esposta senza necessariamente metterla in relazione con le altre o col tema proposto.
Quando si espongono opere di artisti diversi, vissuti in tempi molto diversi fra di loro, con una concezione artistica e tecnica completamente diversa, il rischio di capire molto poco è elevatissimo, ed elevata è anche la fatica richiesta nel passare da un artista all’altro, da uno stile all’altro, da una cultura all’altra.
Il 30-09, martedi, ero invitato (un invito pubblico giunto per posta al mio domicilio) alla presentazione della mostra di Marco Goldin che si terrà nella Basilica Palladiana di Vicenza dal titolo: Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento; non ci sono andato perdendomi così l’anteprima in cui un certo Gilberto Colla ha letto alcune pagine de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e il racconto della mostra (con la proiezione delle immagine più belle della stessa) a cura dello stesso Marco Goldin, con l’accompagnamento musicale di un trio che suonava il flauto, la fisarmonica e il violoncello.
Ho perso anche “un quaderno promozionale a colori di 120 pagine dedicato alla mostra principale, alle mostre collaterali, agli itinerari turistici e a tutti gli eventi collegati” (dalla brochure) in omaggio.
Goldin ha iniziato ad esporre nella Ca’ dei Carraresi di Treviso tutta una serie di mostre sull’Impressionismo che hanno avuto molto successo, poi ha esposto a Bologna un’opera unica, La ragazza con l’orecchino di perla di Veermer, e poi si è lanciato in mostre complesse dal titolo: Da Rembrandt a Gauguin a Picasso; Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse; Da Hopper a Warhol. Pittura americana del XX secolo; Da Vermeer a Kandinsky. Capolavori dai musei del mondoRaffaello verso Picasso. Storie di sguardi, volti e figure; Da Botticelli a Matisse. Volti e figure; Verso Monet. Storia del paesaggio dal Seicento al Novecento … bisogna avere una cultura sterminata per sperare di affrontare tanti secoli di pittura, tanti stili diversi, per mettere insieme cose così disparate secondo un’idea che li accomuna … Rembrandt Gauguin e Picasso, Courbet Monet e Matisse, Hopper e Warhol, Veermer e Kandinsky, Raffaello e Picasso, Botticelli e Matisse, …, Caravaggio e Van Gogh … e pure Tutankhamon.







O sei un genio e riesci a cogliere affinità fra artisti, stili e tempi così diversi e a divulgarlo con efficacia, oppure metti insieme ciò che è reperibile sul mercato e su ciò che hai a disposizione ci crei sopra la “panna montata” … in ogni caso alcune opere in sé valgono la visita e altre sono semplicemente di moda, come gli impressionisti o la ragazza con l’orecchino di perla … quadri che perdono in questo modo la loro cifra artistica e diventano icone pop.
Nel futuro prossimo cosa ci sarà, a cosa assisteremo? Da Gaspare a Melchiorre a Baldassarre? Michelangelo verso Bernini? Van Gogh contro Matisse? Ercole contro Maciste? Sansone e tutti i filistei?
Ma il pacioso signore veneziano, accompagnato da una moglie filiforme, molto ben vestita e ben ingioiellata, truccata come se avesse trent’anni, che contrariamente a lui (e a me) ha mangiato come un passerotto e che non si intrigava né di politica né di calcio, non sembrava li per la mostra, né sembrava molto desideroso di visitare la città, né aspirava ad una poltrona vip o ad un posto sulle “gratinate” (questo mi ha proposto un insistente bagarino) per il concerto di Elisa all’Arena.
Si era goduto il lauto pranzo, si era acceso un sigaro (solo dopo che la moglie è andata in qualche posto da sola) e si è messo a chiacchierare del più e del meno col cameriere; di solito non partecipo a queste discussioni, o se succede è perché trovo il discorso interessante, in questo caso era di una banalità unica, parlavano esclusivamente per frasi fatte, per slogan carpiti chissà dove e giocati come solenni e ieratiche verità, della serie: “Caro Lei, deve sapere …”.
Ho lasciato passare i loro discorsi come l’acqua di un ruscello,  ma dal punto in cui ero mi era impossibile non ascoltare e in qualche modo il loro tono e la loro prosaicità disturbava la mia beatitudine; ma anche così avrei potuto conviverci senza troppi sussulti, mi ha dato particolarmente fastidio però quando il veneziano ha detto solennemente al suo interlocutore: “ … il problema dell’Italia è che il costo del lavoro da noi è troppo elevato …”.







Il problema non è la mafia, la corruzione diffusa, l’incapacità, l’inciviltà, l’imbarbarimento, il ridicolo in cui abbiamo ridotto la giustizia, lo stato di umiliazione in cui versa la meritocrazia, la perdita dell’eccellenza e delle maestranze, la fuga dei cervelli, lo stato in cui sono ridotte la cultura e la ricerca, l’ignoranza e l’incultura erette a sistema e pubblicamente lodate, la volgarità imperante a tutti i livelli, … no, il problema è che paghiamo troppo chi lavora! … ed eliminare l’articolo 18!
Chissà quanto sarà stato contento il cameriere che parlava con lui di sapere che era superpagato, chissà se si è posto il problema che quando si parla di costo del lavoro si sta parlando anche del nostro lavoro, chissà che gioia suscita il fatto che sarà il leader del partito sedicente di sinistra più grande d’Europa a cancellare in Italia la tutela del lavoratore di non poter essere licenziato senza una “giusta causa”.
Ma come fai a far capire ad un tipo simile che ad esempio la Germania quasi non conosce crisi, eppure li i lavoratori dipendenti vengono pagati molto di più che in Italia e sono molto più tutelati sia quando lavorano sia quando dovessero perdere il lavoro; come glielo spieghi il fatto che se il ceto medio costituito da lavoratori dipendenti ed operai non ha soldi, molto di ciò che produciamo rimane invenduto e come fai a fargli entrare in testa che ci sarà sempre una Cina, un Vietnam, un Laos, un’India, un posto qualsiasi al mondo dall’est Europa all’Africa nera dove il costo del lavoro sarà inferiore al nostro e che noi non potremo mai competere con questi paesi sulla base di un costo del lavoro concorrenziale, ma dovremmo competere sul piano della qualità , bellezza, originalità del prodotto.
Anzi, non “prodotto”, noi europei (e soprattutto noi italiani) dovremmo commercializzare non oggetti, ma il nostro stile di vita, il nostro senso della bellezza, la nostra cultura, l’eleganza, la classe, il saper vivere un’idea, un sogno.
Analizziamo cosa sta accadendo in una città come Verona, ad esempio, è certamente una bella città, gli edifici storici si sono conservati molto bene, è un piccolo gioiello di bellezza ma non può certo competere con le molte e più prestigiose città italiane i cui tesori artistici sono molto più copiosi; c’è stato qualche fermento culturale ed artistico ma niente di paragonabile a ciò che è avvenuto altrove, a Venezia, ad esempio, o a Firenze, o a Milano, o a Roma, o a Napoli ….





Verona, Presunta tomba di Giulietta.


Verona si trova esattamente sul bordo fra una città smaliziata, turistica, che strizza l’occhio a tutte le esigenze, che offre un’infinità di attrattive culturali, artistiche, di svago e, nello stesso tempo, una città che conserva in gran parte le sue tradizioni, i suoi riti, la sua cucina ed è disseminata di tutta una serie di piccole botteghe artigiane che producono oggetti esteticamente raffinati, di piccole osterie dove puoi ancora gustare la vera cucina veneta, i prodotti del luogo o dei dintorni, il vino locale a prezzi tutto sommato contenuti e di baretti dove si osserva la vita che scorre e si indulge al rito tutto italiano, a fine lavoro, dell’aperitivo prima di cena.
L’Arena è l’anfiteatro romano più grande e meglio conservato in Italia, ci si organizzano spettacoli di musica lirica e contemporanea di notevole rilievo, che potrebbero essere più agevolmente e comodamente organizzati altrove, ma le persone preferiscono affrontare la scomodità delle “gratinate” e il rischio della pioggia pur di assistere ad uno spettacolo nello spettacolo, quello cioè di ritrovarsi immersi in uno scenario antico incantevole, di far parte di un sogno, e godere così la loro musica preferita.
Verona è una delle città con più elevato afflusso turistico, il motivo principale per cui tante coppie di ogni età giungono li da tutto il mondo è il mito dell’amore romantico, cristallizzato da William Shakespeare nella sua Giulietta e Romeo e ambientata in questa città; non sono mai esistiti a Verona i Montecchi e i Capuleti, non c’è mai stata una casa di Giulietta, né tantomeno il suo balcone, non c’è neanche la casa di Romeo, né Romeo stesso (qualche buontempone ha individuato in un certo Cagnolo di Nogarola, detto “Romeo” il Romeo Montecchi shakespeariano, incurante del fatto che se Romeo si fosse chiamato Cagnolo, la tragedia perderebbe ogni poesia per farsi farsa … ma ve la immaginate Giulietta che dice: “Oh Cagnolo, Cagnolo, perché sei tu Cagnolo? Rinnega tuo padre, e rifiuta il tuo nome! O, se non lo vuoi, tienilo pure e giura di amarmi, ed io non sarò più una Capuleti”. (Giulietta e Romeo, Atto II, scena II)?
Certo che rifiuterebbe il suo nome Cagnolo di Ricotta, non è mica scemo, non puoi far palpitare il cuore delle fanciulle presentandoti con quel nome e Shakespeare avrebbe cambiato personaggio o non avrebbe mai scritto questa tragedia) e, naturalmente, non c’è nessuna tomba di Giulietta su cui portare dei fiori … è elementare mi sembra, se Giulietta non è mai esistita non può essere morta, e se non è morta non può esserci la sua tomba.
Eppure migliaia di turisti ogni anno si fanno ore di volo o di treno o di nave per commuoversi, emozionarsi, sperare, celebrare, fotografarsi dal balcone di Giulietta, accarezzare il seno destro della statua di Giulietta (che dicono porti fortuna e sia di buon auspicio in amore), agganciare lucchetti ovunque, imbrattare i muri, gli stipiti, le pareti della casa di Giulietta, incidere cuori, nomi, date, …, pur di partecipare al sogno romantico che ha legato i due personaggi di Shakespeare.