venerdì 8 agosto 2014

UN GRAFFIO IN TESTA 2





“L’angoscia ci soffoca la parola. Poiché l’ente nella sua totalità si dilegua e poiché così proprio il niente ci assale, tace [schweigt] al suo cospetto ogni tentativo di dire ‘è’ [‘Ist’-Sagen]. Che nello spaesamento dell’angoscia noi si cerchi spesso di infrangere il vuoto silenzio [die leere Stille] proprio con parole dette a caso [ein wahlloses Reden], non è che la prova della presenza del niente”. (Martin Heidegger, Che cos’è metafisica, Adelphi, 112; 68).



“Il nulla nulleggia” (Das nicht nichtet). (Rudolf Carnap, 1932, Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache, “Erkenntnis”, 2, 219-241; tr. it. in Il Neoempirismo, UTET, Torino, 1969, p. 504-532).


«Per parte mia, comincio il trattamento invitando la paziente a narrarmi tutta la storia della sua vita e della malattia, ma ciò che vengo a sapere non è ancora sufficiente ad orientarmi. Questa prima narrazione è paragonabile a un fiume non navigabile il cui corso ora è ostruito da rocce, ora deviato e impoverito da banchi di sabbia. Non posso altro che provare meraviglia per i casi clinici d’isteria così esatti e forbiti quali figurano nelle opere dei maestri; in realtà, i malati sono incapaci di fornire simili resoconti di se stessi».
(Sigmund Freud, 1901, Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino, Vol. 3, p. 312).


A colpirmi immediatamente, come due luci di alta intensità, furono gli occhi, mi guardavano fissi senza accennare a declinare; mi capita raramente che qualcuno mi guardi con una pari insistenza, senza alcun imbarazzo ma che produceva in me, devo ammetterlo, un certo imbarazzo, fors’anche fastidio per quell’essere scrutato così fissamente, un imbarazzo provocato che molto probabilmente era originato da un imbarazzo provato e proiettato all’esterno. Cos’era, alterigia? Seduzione? Sfida? Non lo avvertivo né come un ostentato senso di superiorità, come talvolta capita con i narcisisti, né come un gesto teso a sedurmi, per il momento il termine sfida era quello che mi sembrava più appropriato. Già, ma perché una donna adulta, libera, intelligente dovrebbe contattarmi per un consulto, spendere il suo tempo e i suoi soldi, solo per sfidarmi?
Era davvero difficile guardarla e non pensare, come prima cosa, che fosse una bella donna, subito dopo il suo sguardo profondo era la cosa che si imponeva di più a qualsiasi osservatore, ma non si trattava di una bellezza esuberante, da maggiorata, di quelle dalle forme straripanti, era bensì una bellezza dalle forme armoniche, sobrie, eleganti, resa ancora più raffinata dal suo dal suo modo di vestire, dal suo stile, dalla sua classe e dal suo charme.
Indossava un semplice paio di jeans blu scuro, stretti ma non aderenti ed elasticizzati, che si limitavano a sottolineare le sue forme perfette, una camicetta bianca di pizzo molto elegante e un bolerino nero sopra che la slanciava ancora di più di quanto non facessero i suoi tacchi moderati, un cappotto nero lungo che sembrava addosso a lei una pennellata di stile e una sciarpina turchese.



I suoi capelli biondo scuro, lisci, le cadevano indolenti sulle spalle e sulla schiena, le scarpe, la cintura, i gioielli, erano di fine fattura e assolutamente non vistosi, per questo si notavano di più nella loro sobrietà e per questo ti soffermavi un po’ di più ad apprezzarne l’eleganza.
La invitai ad accomodarsi sulla poltrona di fronte a me e la incoraggiai con un semplice sorriso, lei accavallò le gambe e iniziò a parlare con la sua voce che era melodia, e il suo discorso non fu soltanto logico, ma crono-logico, nel senso i suoi fili erano organizzati razionalmente secondo l’accadere nel tempo degli eventi che lei considerava pregnanti.
Lascio sempre ampia libertà alle persone che mi consultano riguardo a cosa dire e a come dirlo, cerco di limitare al minimo indispensabile le domande per non incanalare il discorso su tracce prefissate, su argomenti prefigurati, perché ciò che una persona decide di dire (come la prima mossa sulla scacchiera) e come lo dice sono sicuramente tanto importanti quanto il contenuto di ciò che dice.




D’altronde, la grunderegel (regola fondamentale) freudiana è lapidaria nella sua formulazione, si prescrive al paziente di dire semplicemente, seguendo la regola delle libere associazioni, tutto ciò che viene loro in mente, senza esercitare su questo materiale associativo alcuna selezione e alcuna censura, anche se ciò dovesse apparire loro senza alcun interesse, non pertinente, illogico o addirittura assurdo.
Il corrispettivo della grunderegel che si applica al paziente è per l’analista l’attenersi ad una “attenzione fluttuante”, ovvero l’esercizio di un ascolto rispettoso del paziente senza alcuna interruzione non indispensabile, senza tentare di condurre il discorso su un terreno più familiare per l’analista, senza prestare una particolare attenzione ad un elemento invece che ad un altro, senza tentare di memorizzare ciò che stiamo ascoltando e, soprattutto, lasciandoci attraversare dal discorso in maniera da coglierne soprattutto le risonanze emotive profonde che lascia in noi, ben al di la della pura comprensione razionale.
Con le parole dello stesso Freud:
«Si tenga lontano dalla propria attenzione qualsiasi influsso della coscienza e ci si abbandoni completamente alla propria “memoria inconscia”, oppure, in termini puramente tecnici: “Si stia ad ascoltare e non ci si preoccupi di tenere a mente alcunché”».
(Sigmund Freud, 1912, Consigli al medico nel trattamento analitico, in OSF, Boringhieri, Milano, Vol. 6, p. 533).




O, secondo un modulo più articolato e moderno di quello freudiano, direi che io mi ispiro, nel mio ascolto analitico, a questo eptalogo:
«Le sette regole dell’arte di ascoltare
1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.
2. Quello che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.
3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.
4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.
5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.
6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.
7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé».
(Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori, Milano, 2003).



In questo modo, lontano dal perdere informazioni preziose e contrariamente a quello che potrebbe sembrare un ascolto più attento che cerca di memorizzare e conservare quanta più informazione possibile, noi cerchiamo di cogliere l’essenza di un dialogo, che non è certo nel contenuto che ci viene trasmesso, ma nel substrato emotivo che lo anima e nel legame relazionale che corre fra paziente ed analista.
Una persona può utilizzare qualsiasi argomento, anche il più banale, per comunicarci un suo stato d’animo, un sentimento; allora, visto che noi lavoriamo con le emozioni, non è tanto importante seguire il contenuto dei suoi discorsi, che può portarci fuori strada perché non è quello il registro su cui si basa il dialogo, ma alla persona che ci sta parlando preme che cogliamo il messaggio emotivo e non quello simbolico e letterale.
Allora lasciamo fluire la nostra attenzione, pronti a cogliere le risonanze emotive che ci suscita tutto il dialogo, che è fatto certamente di parole, ma fondamentalmente è fatto di comunicazione non verbale, a-simbolica, molto più primitiva e diretta di quella razionale e molto più importante ai nostri fini per incidere sul profondo e sulla nostra regolazione emotiva.
L’osservare che una paziente sia bella, come ho fatto all’inizio di questo post, non è un gioco ozioso, né semplicemente l’indulgere ad un piacere estetico, ma un modo per rendersi presente l’effetto e l’impatto che una persona può esercitare su di me anche col suo aspetto fisico.



Fu il mio maestro, Michele Minolli, a focalizzare la mia attenzione su questi aspetti che allora ritenevo secondari e poco interessanti: molti anni fa quando ero in formazione seguivo un caso in supervisione con lui, io ero sempre alla ricerca di individuare chissà quali dinamiche psichiche inconsce potessero illuminare i motivi della sofferenza della mia paziente, quando lui mi domandò come prima cosa: “Com’è questa donna, è bella?”.
Io cercai di scantonare pensando che fosse poco importante l’avvenenza o meno della mia paziente, ma lui insistette e fui costretto allora a pensare alla mia paziente come donna e non come paziente e all’effetto che lei, con la sua fisicità aveva su di me, così mi resi conto immediatamente che cercavo improbabili o impossibili dinamiche inconsce per nascondermi quanto in realtà mi turbasse la sua bellezza.
Non solo l’impatto che la bellezza o la fisicità di una persona ha su di noi è importante e foriero di informazioni sulle reciproche emozioni e sulla relazione, ma anche altre emozioni, come ad esempio la simpatia (o antipatia che una persona può suscitarci), ricordo che Michele Minolli in una delle sue magistrali lezioni in cui avremmo analizzato il caso clinico di Freud di Dora (Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino, Vol. 3, , pp. 298- 402) ci chiese come prima cosa che impressione avevamo avuto di questa ragazza diciottenne.
La simpatia è preludio di comprensione, facilita la strada a comprendere i motivi della “protesta” di Dora, che si sentiva tradita dal padre, abbandonata dalla madre, ignorata dal fratello maggiore, usata sia dall’amante del padre, la signora K., sia dal marito di questa il signor K. che tentò di approfittare di lei in almeno due occasioni, infine non si sentì compresa da Freud, al punto da abbandonare l’analisi, perché questi era presumibilmente troppo intento a dimostrare attraverso Dora la validità della sua teoria sul sogno e sulla teoria sessuale, per ascoltare davvero la ragazza.



Quando, invece, proviamo antipatia, disagio, fastidio o ci troviamo di fronte a clamorose mancanze di sintonizzazione col paziente, vuol dire che siamo lontani da una sintonia emotiva col paziente, vuol dire che dovremmo lavorare prima sui nostri ostacoli alla comprensione, che sulle asperità del paziente, come il caso di Freud con Dora che trascura di trarre tutte le conseguenze di una sensazione che Dora gli rivela fin da subito e che gli ripete più volte senza che Freud riesca a coglierla del tutto perché ciò significherebbe mutare radicalmente l’inquadramento del caso e le coordinate su cui si accingeva a lavorare, che non coincidevano del tutto con i suoi interessi teorici.
Freud ci informa che:
«Nei momenti di maggiore amarezza le [a Dora] si imponeva l’idea di essere stata consegnata a K. [il marito dell’amante di suo padre] come prezzo per la sua tolleranza della relazione tra suo padre e la moglie, e sotto la tenerezza di Dora per suo padre si poteva sentire l’indignazione per un simile impiego di sé stessa». (Sigmund Freud, 1901, Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino, Vol. 3, p. 328).
Dora stava denunciando quello che avvertiva come uno scambio di donne: “io mi prendo tua moglie e in cambio ti cedo mia figlia”, si sentiva ceduta ad un altro uomo, tradita, usata dal proprio padre, usata dal signor K. non perché la desiderasse o la amasse, ma come moneta di scambio per la cessione della moglie, mentre riteneva che la simpatia che le dimostrava la signora K. fosse finalizzata soltanto ad accattivarsene i favori: in tutti i casi nessuno vedeva Dora in quanto persona, ma come oggetto da usare nello scacchiere delle loro torbide relazioni.
Freud in questo frangente non va oltre l’ammissione che:
«… la verità era che ognuno dei due uomini evita di trarre dal comportamento dell’altro conseguenze che sarebbero d’ostacolo ai propri desideri».
(Sigmund Freud, 1901, Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino, Vol. 3, p. 328).
Ma, in definitiva, anch’egli stenta a credere del tutto a Dora e la tratta con la stessa sufficienza degli adulti che la circondano, e quasi da bugiarda, come le era già accaduto quando decide di denunciare ai genitori il tentativo del signor K. di abusare di lei, in quel momento tutti indistintamente sono propensi a credere che si sia inventata tutto, magari (come suggerisce la signora K.) con la fantasia infiammata dalla lettura della Fisiologia dell’amore del Mantegazza.
Il tradimento freudiano però si consuma definitivamente quando Freud trae le conclusioni, assurde e paradossali, che il gesto di Dora di schiaffeggiare il signor K. e di fuggire via di fronte alle avanches amorose di quest’ultimo, di fronte al fatto che un uomo di mezza età avesse fatto il “provolone” con una ragazzina minorenne, sia isterico (in conformità alla sua diagnosi di “petite hystérie”) perché rinnegava il proprio eccitamento sessuale e il proprio desiderio per quest’uomo.
Non lo sfiora nemmeno per un istante l’idea della differenza di età fra i due (la stessa probabilmente che c’era fra lui e Dora), l’immaturità della ragazza e il fatto che Dora ritenesse con certezza che il signor K. non era innamorato di lei ma che esigesse con le sue avanches una sorta di risarcimento.




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