lunedì 21 ottobre 2013

RITRATTO DI UN IMBECILLE 1



“La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé”.
(Ennio Flaiano, da Ombre grigie, elzeviro sul Corriere della sera, 13 marzo 1969).



Nella prima metà del secolo scorso il poeta e scrittore francese Philippe Soupault, permeato di dadaismo, di surrealismo, della ventata di novità rappresentata dalle avanguardie letterarie e dalle letture di Freud e di Janet espose provocatoriamente in una mostra d’arte uno specchio intelaiato da una cornice dal titolo: “Ritratto di un imbecille”.
Credo che un marchingegno di siffatta natura sia molto prezioso in ogni casa e sia cosa sana rispecchiarvisi anche più volte al giorno e sorridere di sé senza prendersi mai troppo sul serio; mentre trovo deleteri altri “specchi”, da quello delle “mie brame” della regina di Biancaneve, fino ai grandi tabloid internazionali (Time, Life, Men’s Health, Vogue, ecc.) che incoronano donne e uomini “dell’anno”, persone celebri, le “eccellenze” della politica, dello spettacolo, della letteratura, dell’arte, ..., chiunque ti rimandi indietro l’immagine monocorde e monotona che sei un grand’uomo o una gran donna, una persona capace, in gamba, il migliore di tutti nel tuo campo o in assoluto.
Imbecille è senza ombra di dubbio Mario Balotelli, in occasione della partita che si sarebbe disputata a Napoli fra Italia e Armenia qualcuno aveva ventilato l’ipotesi di farne un simbolo anticamorra, ma lui su twitter ha replicato:
“Questo lo dite voi! Io vengo perché il calcio e bello e tutti devono giovarlo dove vogliono e poi c'è la partita!!!!”.
Ma come gli è saltato in mente di scrivere una cavolata di queste dimensioni, non lo sa Balotelli che nell’antimafia (come nella mafia) ci sono delle proposte che non si possono rifiutare? Nessuno sano di mente avrebbe osato declinare questa proposta perché più il calcio (e lo sport in generale) sta diventando un puro e squallido business per vendere carabattole di ogni genere o semplice sfogo di frustrazioni represse e più c’è chi alla base tesse i fili per nobilitarne l’esercizio e la funzione.
Lo sport è educativo, dicono, e a cosa ti educhi di preciso non è chiaro; lo sport è catartico, ti insegna a dominare la violenza, toglie i ragazzini dalla strada, quelli che rischiano di essere attratti dalla sfera della criminalità organizzata, lo sport fa bene al fisico e alla mente (poi vedi con quale facilità gli sportivi si ammalino solo qualche anno dopo aver terminato la loro carriera agonistica, come si “gonfino” fisicamente in certi casi perché sfumi immediatamente l’idea del “corpore sano”, mentre ti basta vedere l’intervista con qualsiasi calciatore o anche solo Cassano muto perché proprio tu non ti faccia alcuna illusione sulla “mens sana”).
Lo sport ha un’importante funzione sociale, il campione di calcio è un ragazzo che ha avuto in dono un gran talento e che dovrebbe mettere questo talento al servizio della società, per migliorarla, sfruttando la sua posizione, il suo successo, la presa che fa nel pubblico, per realizzare opere benefiche e per mettere in guardia contro comportamenti a rischio, pericolosi, lesivi, o criminosi che si può essere tentati di assumere.
Siamo ormai abituati agli appelli degli assi del calcio contro la violenza negli stadi, contro il razzismo, le discriminazioni, per combattere alcune malattie, …, perché in tutto questo buonismo non ci può stare anche un appello contro la criminalità organizzata? In fondo Umberto Eco se si presentasse in tv a dire la stessa cosa non se lo filerebbe nessuno, se si presenta invece Francesco Totti viene immancabilmente ascoltato da migliaia di persone.
Lo so, voi che siete diffidenti starete pensando che in fondo Eco sa scrivere e parlare molto bene, è capace di organizzare ed esprimere superbamente il suo pensiero e poi non è così vero che non se lo fila nessuno, i suoi libri e soprattutto i suoi romanzi sono tradotti in molte lingue e sono diventati dei best seller, mentre sul penchant espressivo di Totti è meglio stendere un velo pietoso.
È una tristezza sentire le dichiarazioni dei campioni del calcio in tv, le conferenze stampa, le interviste, i proclami, le pubblicità ad alcuni prodotti, per la pochezza e mestizia di contenuti, ma soprattutto per il modo, lo stile, sembrano dei bambini che stiano recitando malamente una poesia che hanno imparato a memoria e nel loro declinarla traspaia tutta la fatica che hanno fatto nell’impararla e quella che stanno facendo recitandola.
Sembrano distaccati da ciò che stanno dicendo, come se non capissero il significato delle loro stesse parole, come se dicessero cose che non appartengono loro, come se fossero sulle spine e che diano l’idea che prima finisca questa comparsata e meglio è per tutti.
Molto spesso questo imbarazzo e questa sensazione di poca convinzione e di poca adesione ai contenuti che potrebbe essere estremamente deleteria per il prodotto che stanno promuovendo o per la battaglia per cui si stanno mobilitando, viene ovviata con inquadrature particolari, con testi ridotti al minimo, col contorno di qualche bella fanciulla o con una spalla comica che ironizzi sulla situazione, o ancora con una scritta sulla maglietta, una  bandiera, un simbolo, un gagliardetto, ma resta l’impressione che in fondo a questi esangui bietoloni interessi ben poco non solo dell’acqua uliveto o della nuova polo, ma anche della lotta contro il razzismo, contro la violenza o contro la criminalità organizzata.
Che si tratti insomma soltanto di curare i loro interessi economici o di immagine (inutile dire che spesso entrambi sono aspetti della stessa questione perché una buona immagine rafforza l’efficacia di uno spot televisivo e, dunque, anche l’opulento conto in banca del calciatore in questione), che tutto il calcio e lo sport in generale siano diventati soltanto un luogo dove girano vorticosamente un mare di soldi e in cui ciò che conta è poter associare ad un’immagine vincente un prodotto per poterlo vendere meglio.
In una situazione di questo genere al campione sportivo non viene richiesto di essere nobile, di avere buoni sentimenti, virtù particolari, di possedere un certo fair play o di essere socialmente impegnato, ma di avere tecnica, potenza, muscolarità, spietatezza, voglia di vincere, ambizione e soprattutto, visto il picco di massima efficienza fisica richiestogli dura solo pochi anni e con esso gli ingaggi miliardari e le relative pubblicità che può essere chiamato a fare, affrettarsi a guadagnare quanto più è possibile, offrendosi di stagione in stagione al miglior offerente, senza portarsi dietro zavorre emotive come l’attaccamento alla squadra, il fare gruppo con i compagni, la responsabilità, la lealtà, la fedeltà.
Visto che questo è il calcio, visto che questi sono i calciatori, che senso ha affidare a questo ambiente un messaggio anticamorra? Che senso ha voler fare di uno come Mario Balotelli un simbolo della lotta anticamorra, proprio lui che l’unico interesse che ha mostrato per Napoli e per la Campania è stato il fatto che (senza voler credere all’accusa di un pentito che riferisce che Mario avrebbe “spacciato” per scherzo in quell’occasione) abbia visitato Scampia per curiosità, come si va a visitare uno zoo e a vedere gli animali esotici, come certi imbecilli si mettono in macchina per visitare, come se fossero al circo, le zone colpite da una calamità naturale, soprattutto terremoti, ma vanno bene anche inondazioni in questi ultimi anni?
È seria una lotta anticamorra affidata in queste mani? E ha un bel dire Rosaria Capacchione, senatrice PD e coraggiosa giornalista che si è occupata di camorra e che vive sotto scorta, a dargli dell’imbecille. Non che non abbia ragione, probabilmente Balotelli è davvero tutto questo e fin’ora, eccetto qualche talento calcistico, non ha mostrato molto buon senso.
Ma quanto buon senso c’è in chi lo propone come testimonial? Uno che non ha mai mostrato un minimo di interesse verso la camorra se non quello descritto sopra, uno che non ha mai dimostrato interesse verso nulla che non sia egli stesso (pensate a come ha reagito alla faccenda della vera o presunta paternità).
Sapete quanti ricercatori in gamba si potrebbero trattenere nelle  nostre università (mentre adesso vanno all’estero ad arricchire altri Paesi con la loro intelligenza) con l’ingaggio annuale di Mario Balotelli? E non sarebbe molto più credibile in tv un ignoto ricercatore che sappia esprimersi in un italiano passabile piuttosto di un calciatore che parla solo a slogan, grugniti e sputi sul campo … manco fosse un lama?
Il fatto è che io ne ho le scatole piene di testimonial di cartapesta, da George Cluney che sa dire in italiano solo: “Immagina, puoi!” e questa cazzata gli è stata pagata a peso d’oro dalla Fastweb e, di conseguenza, da noi che usiamo Fastweb.

Ne ho le scatole piene degli Antonio Banderas, che circuiscono galline e cucinano i biscotti al vapore col loro alito abitando in improbabili e omofobi mulini bianchi; ne ho le scatole piene di Mario Balotelli che scimmiotta la camorra senza avere alcuna idea di cosa sia realmente; e ne ho le scatole piene di tutti questi “cavalli di cartone” usati per veicolare messaggi di qualsiasi tipo e che invece di esaltare svalorizzano qualsiasi cosa dicono e qualsiasi battaglia sembrano combattere.



2 commenti:

  1. Ah, signor Garbo, come si fa a non essere d'accordo con lei? Temo che in Italia il fatto di esser bravi a far quattrini ed avere successo sia diventato sinonimo di intellighenzia, del tutto a sproposito. Così ci ritroviamo con una sfilza di spot pubblicitari che hanno per protagonisti personaggi di successo nello sport, nello spettacolo, nel cinema, ecc. dei quali ben poco si sa dal punto di vista umano. Del resto, basterebbe soffermarsi sul fatto che, nel caso di un calciatore, il talento è nei piedi e, da che mondo è mondo, ragionare coi piedi è tutt'altro che sinonimo di intelligenza.

    La saluto nottambulescamente, signor Garbo.

    RispondiElimina
  2. Egli ragiona (?) solo con il suo membro che "appoggia" dove gentile donzelle gli indicano la strada del piacere; e semina il suo DNA.

    Altri, che li seguono - anche nelle pubblicità che poi si riversano per i costi sui prodotti che comperano -, osannandoli e/o copiandoli, sono coloro che credono di essere l'altro; un po' come accade con i berlusconini.

    LE LEGGI FONDAMENTALI DELLA STUPIDITA’ UMANA di Carlo M. Cipolla sono illuminanti al riguardo; ne consiglio la lettura per chi non l'avesse già fatto.

    luigi

    P.S.:
    Per fortuna che ci sono, però, costoro; noi possiamo emergere dalla massa che era, è e sarà sempre gregge..

    RispondiElimina