martedì 26 marzo 2013

A VOLTE NUVOLA SEI ... 1







“Donna sei sete e vendemmia
  donna sei polvere, donna sei pioggia
  donna saggezza, donna follia
  a volte nuvola sei…”

(Angelo Branduardi, Donna ti voglio cantare).








“Io sono quella che cantano i poeti,
l’inesauribile sorgente dove palpita il genio,
l’apparizione, la madonna, l’egeria,
quella che suscita il sogno, che purifica l’acqua torbida,
io sono la cavità, la matrice,
la fontana da dove sgorga il verso trionfante,
dove risuona l’immagine di musica;
io sono quella che partorisce, che è materna,
quella che incanta, l’onnipresente.
Gli uomini mi piangono e mi desiderano,
i poeti mi gridano e mi sospirano,
tutti mi portano alle stelle…
Ma io non sono ascoltata.
Io sono parlata ma non parlo,
sono scritta, ma non scrivo,
io sono dipinta, ritratta, scolpita,
il pennello e lo scalpello mi sono estranei.
Nessuno ascolta le mie grida silenziose,
nessuno vede la mia bocca spalancata e muta,
le mie dita contratte, le mie mani aperte,
le mie lacrime di pietra, il mio cuore straziato.
Io sono quella che non ha linguaggio,
quella che non ha volto, quella che non esiste.
… la donna…”
(M. Bacchetti, Moizzi, a cura di, Nella donna c’era un sogno. Canzoniere femminista, 1976).








"Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano di avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con grandi cappelli e bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante; ma a me non è mai successo di incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e schiavitù che non sarà tanto facile vincere”.
(Natalia Ginzburg, Discorso sulle donne, 1993).




Adesso che l’amore
è una strana abitudine,
estinta specie della quale parlano
antichi documenti,
e si censura l’abbandonato officio
del dono di sé;
adesso che il ventre
dimenticò di generare figli
ed il ginocchio la sua grazia
ed il capezzolo
la sua promessa felice
di miele ed essenza.
Adesso che la carne si annoda
e si spoglia,
va e si rivolta
sulla carne buona
senza lasciare profumi, semi
e battaglie vittoriose,
e raccogliendo in cambio
rotondi raccolti;
adesso che è vietata la tenerezza,
modalità perduta delle nonne;
che perse la carezza
la sua avena generosa;
adesso che la pelle
delle pareti si palpano
maschio e femmina
senza raggiungere il mirto
la brace commossa,
ardo semplicemente
incinta ed ubriaca.
Riscatto la parola primigenia
dell’ utero,
e classica e stravagante
intraprendo l’impegno
di spogliarmi.

E amo.

Ana Istarú






"Sono le donne difficili quelle che hanno più amore da dare, ma non lo danno a chiunque. Quelle che parlano quando hanno qualcosa da dire. Quelle che hanno imparato a proteggersi e a proteggere. Quelle che non si accontentano più. Sono le donne difficili, quelle che sanno distinguere i sorrisi della gente, quelli buoni da quelli no. Quelle che ti studiano prima di aprirti il cuore. Quelle che non si stancano mai di cercare qualcuno che valga la pena. Quelle che vale la pena. Sono le donne difficili, quelle che sanno sentire il dolore degli altri. Quelle con l'anima vicina alla pelle. Quelle che vedono con mille occhi nascosti. Quelle che sognano a colori. Sono le donne difficili che sanno riconoscersi tra loro. Sono quelle che, quando la vita non ha alcun sapore, danno sapore alla vita".

(Alma Gjini)






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